CASAL DI PRINCIPE – Voleva sapere dove fosse finito suo figlio. Francesco Vastano era scomparso e il padre, Teobaldo Cerullo, era preoccupato. Sapeva che c’entrava la mafia, sapeva che era stato rapito e probabilmente ucciso (come poi si scoprirà). E così si recò da Carmine Schiavone per minacciarlo: sarebbe andato dai carabinieri a denunciarlo se lui e i suoi sodali non gli avessero rivelato cosa era successo a Francesco. Era il novembre del 1988. La criminalità organizzata casertana era nel pieno della sua ferocia, aveva un controllo militare saldo del territorio. E chi osava minacciare un suo esponente metteva in gioco la propria vita. Carmine Schiavone raccontò al cugino capoclan, Francesco Sandokan Schiavone, da pochi mesi liberatosi di Antonio Bardellino (sarebbe stato ucciso da Mario Iovine proprio a maggio di quell’anno), l’affronto di Cerullo. Come reagì? Il padrino disse che andava eliminato. E l’ordine venne eseguito da Dario De Simone, mafioso di Trentola Ducenta, ora collaboratore di giustizia, e, secondo la Dda di Napoli, da Vincenzo Zagaria, sanciprianese.
De Simone sarebbe stato accompagnato a compiere l’omicidio da Zagari a bordo di una renault. Riconosciuto Cerullo, il trentolese scese dall’auto e gli sparò un colpo alla nuca. Il delitto si consumò a poca distanza da una chiesa sconsacrata. Se l’Antimafia è riuscita a ricostruire questa storia, è grazie alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. L’indagine, dopo una prima archiviazione, venne riaperta a seguito di un’informativa dei carabinieri del comando provinciale di Caserta redatta il 25 maggio 2015 e nel 2018 arrivò il verdetto di primo grado per De Simone e Zagaria. Al pentito, riconosciute le attenuanti per la collaborazione, 10 anni; al sanciprianese, 30 anni. Il 3 marzo 2022, la Corte d’assise di appello, escludendo per entrambi l’aggravante della premeditazione, confermò la sentenza di primo grado.
Zagaria, rappresentato dall’avvocato Matteo Rubera, ha presentato ricorso in Cassazione e la prima sezione della Suprema corte lo ha accolto, annullando la decisione di secondo grado e rinviando gli atti a una nuova sezione della Corte partenopea.
La difesa di Zagaria, rivolgendosi alla Cassazione, aveva contestato la mancata considerazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone. In particolare, si è evidenziato che Schiavone, durante la sua collaborazione avviata nel 1996, aveva indicato che il delitto di omicidio Cerullo era avvenuto vicino alla sua abitazione e che non menzionava Zagaria come coinvolto. Le sue affermazioni, avvalorate da dichiarazioni successive del 2013, delineavano chiaramente i motivi e le modalità dell’omicidio, insieme agli autori coinvolti.
Inoltre, il ricorso sottolineava l’inadeguata risposta della Corte d’appello riguardo alle dichiarazioni di Pasquale Vargas, che non erano sufficienti a sostenere l’accusa. La Corte aveva ritenuto “convergenti” le testimonianze di Vargas e Domenico Bidognetti, ma Zagaria ha contestato questa interpretazione, argomentando che le due versioni erano in contraddizione, poiché Vargas affermava di essere presente durante il crimine, mentre Bidognetti aveva appreso dell’omicidio solo successivamente.
La Cassazione ha giudicato illogica la valutazione della Corte d’appello, che aveva trascurato l’importanza della diversità temporale nelle dichiarazioni, ritenendo invece che fosse una discordanza “marginale”. Questo errore avrebbe portato a un travisamento delle prove.
Infine, gli Ermellini hanno evidenziato la mancanza di una risposta riguardo alle dichiarazioni di Schiavone, che non erano state adeguatamente considerate dal primo giudice. Per queste ragioni la Cassazione ha annullato la sentenza e disposto un nuovo giudizio.
Le motivazioni con cui i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso sono state depositate due giorni fa. Adesso si attende che la Corte di Assise di appello di Napoli calendarizzi l’inizio del nuovo processo per Zagaria.
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