Strage delle bufale, ecco i veri dati. In dieci anni perso oltre il 17% delle aziende: la crisi uccide la mozzarella

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CASERTA (Sergio Olmo) – C’era una volta e Terra di Lavoro ne era il cuore pulsante. Erano le piccole aziende bufaline familiari, spesso tramandate da generazioni. Giusto qualche centinaio di capi, non semplici imprese zootecniche, ma presidi di cultura e identità. Ogni allevamento, ogni caseificio artigianale, sebbene alle prese con le sfide della modernità, era un archivio vivente di saperi antichi, di gesti precisi, di passioni autentiche. Una filiera corta e trasparente, dove l’allevatore conosce ogni bufala per nome e il casaro riconosce la qualità del latte già dall’odore. Un legame stretto tra uomo, animale e territorio che ha reso nel tempo il prodotto unico e inimitabile. L’oro bianco. La mozzarella di bufala campana Dop. Cosa è rimasto? A Caserta, oramai, non molto e ancor meno rimarrà, a giudicare dai numeri ufficiali che smentiscono clamorosamente i roboanti ed entusiastici proclami e pronostici delle politiche agricole e zootecniche regionali. Altrove, nelle diverse aree della mozzarella di bufala Dop, si resiste.

La matematica non è un’opinione
Dal 2015 al 2024, il numero degli allevamenti di bufale nella sola provincia di Caserta è crollato da 881 a 725. Una riduzione di oltre il 17%, che fa da contraltare al mantra ottimistico diffuso a più riprese dalla Regione Campania, secondo cui “il numero dei capi è stabile o in aumento”. Una narrazione rassicurante, ma profondamente falsa. E difatti, anche il numero dei capi bufalini, che pur aveva registrato una crescita fino al 2017, è in netto calo. Dai 194.710 capi di quell’anno si è scesi a circa 180.000 nel 2024. Sullo sfondo, un decennio, tra il 2011 e il 2012, di abbattimenti massivi per sospetta brucellosi e tubercolosi, che hanno portato all’eliminazione di circa 140.000 animali. Una strage legittimata da sospetti diagnostici mai confermati: meno del 2% dei capi abbattuti risultavano effettivamente positivi ai controlli post-mortem. E allora i conti non tornano, a meno che qualcuno spieghi in che modo e a vantaggio di chi si sia comunque avuto un certo ripopolamento.

La concentrazione in poche mani
Meno allevamenti significa meno concorrenza. E chi resta sul campo, peraltro già schiacciato dagli abbattimenti indiscriminati e dalle nuove regole di gestione delle aziende bufaline che impongono esposizioni finanziarie a sei zeri, spesso non ha più la forza contrattuale per opporsi ai prezzi imposti dai grandi caseifici. Il risultato? Prezzi del latte alla stalla spesso al pari o sotto i costi di produzione, che schiacciano i piccoli e medio-piccoli allevatori, già provati da anni di sacrifici e da una burocrazia vessatoria. Il rischio concreto è quello di una filiera sempre più oligopolistica, dove pochi grandi attori dettano legge, comprimendo qualità, tracciabilità e trasparenza. Con evidenti ripercussioni su un patrimonio che è – o era – l’orgoglio del Sud: la mozzarella di bufala campana Dop. A far fuori quei vecchi presìdi di cultura e identità, alle prese con le nuove sfide genetiche, tecnologiche, sanitarie ed economiche, dunque, nessuna calamità naturale. Una brutta piega di un mercato sempre più preda di cartelli di potere, politiche regionali fallimentari, omissioni istituzionali e un sistema di controllo che – dati alla mano – appare inadeguato, se non addirittura complice.

Controlli si…ma dell’Arma
Tra l’attività di monitoraggio e controllo dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e quelle operative del Servizio veterinario dell’Asl di Caserta, la filiera bufalina di Terra di Lavoro dovrebbe poter dormire tra due guanciali. Mai: il sonno appare sempre più profondo, un De profundis. A garantire sicurezza e trasparenza ci pensano, fortunatamente, quando ci riescono, solo icarabinieri del Nas, che smascherano frodi, mancate tracciabilità (con tutti i rischi sanitari connessi), mozzarelle prodotte con latte congelato d’importazione e, insieme ad altre forze dell’ordine, infiltrazioni della criminalità organizzata in un mercato dove la speculazione e la truffa promettono lauti compensi. Si pensi alla svendita giocoforza delle carni dei capi bufalini abbattuti per sospetta e non confermata brucellosi, che negli ultimi anni avrebbero fruttato all’industria delle carni diverse decine di milioni di euro. E la disavventura continua, forte di un’economia dell’emergenza che in un clima di forte tensione, tra soprusi e proteste represse con le buone e le meno buone, passa anche e soprattutto attraverso l’erogazione di cospicui finanziamenti europei per le indennità di abbattimento (difficilissimi da ottenere secondo le regole del gioco, spesso un miraggio) o per gli investimenti in strutture che lusingano mirabolanti promesse occupazionali e roboanti esportazioni dell’oro bianco.

Le figure chiave
Le figure principali di questa storia hanno nomi e cognomi: Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania; Nicola Caputo, assessore regionale all’agricoltura; Antonio Limone, direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; i vertici del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop; alcuni docenti della Federico II; il servizio veterinario dell’Asl Casertana. E poi le associazioni sindacali allineate: Coldiretti Campania, Confagricoltura, Copagri e Cia. Hanno fatto bene? Hanno fatto male? Hanno difeso gli allevatori da abbattimenti apparsi poi, anche in sede giurisdizionale, ingiustificati? Hanno applicato con rigore le norme sulla tracciabilità, quelle sui prelievi e le analisi dalla stalla alla tavola? Hanno davvero tutelato quei presidi artigianali di cultura e identità?
Il timore è che si sia aperta la porta a un sistema sempre meno pluralista, meno controllabile, più opaco. Anche le ipotesi di una modifica del disciplinare della mozzarella di bufala campana Dop sembrerebbero andare in questa direzione.

La domanda
La mozzarella di bufala campana Dop rischia di diventare un’etichetta vuota, un brand svuotato di contenuti, qualità e credibilità? Il tempo per intervenire c’è ancora. Ma servono verità, trasparenza, un sistema di tracciabilità tempestivo, quotidiano e rigoroso, controlli indipendenti e un cambio radicale di paradigma politico e scientifico. Il rischio, viceversa, è che Caserta non sarà più additata come la patria della bufala, ma come il luogo in cui è stata uccisa, nel silenzio generale.

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