Strage delle bufale, indennizzi negati agli allevatori ‘imperfetti’: Tar dalla parte della Regione

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Caserta allevamento bufale
©Lapresse allevamento di bufale a Santa Maria la Fossa.

CASERTA (Sergio Olmo) – In Campania puoi subire l’abbattimento del tuo intero allevamento per sospetta brucellosi, scoprire poi — troppo tardi — che il patogeno non c’era, che i casi non sono confermati, e ritrovarti anche senza indennizzo. Il Tar Campania, ancora una volta, ha rigettato più di un ricorso di un’azienda bufalina confermando in pieno la linea dura della Regione: nessun risarcimento a chi non ha rispettato — secondo l’amministrazione — tutte le prescrizioni di biosicurezza contenute nel bando, o avviso che sia, e che richiama, in termini di prescrizioni, l’ultimo contestato Piano regionale per l’eradicazione della brucellosi e della tubercolosi bufalina in Campania del 2022. Poco importa, dunque, se i tempi, rispetto alle imposizioni, erano stretti, le richieste eccessive e, in non pochi casi, completamente slegate da un diritto che dovrebbe essere riconosciuto a prescindere. Poco importa anche che, alla fine della fiera, il patogeno non c’era. La regola imposta è una e, nei fatti, penalizza i più deboli.

È così che il sistema degli indennizzi diventa, per alcuni, un miraggio tra cavilli e vincoli insostenibili. L’ultima storia è emblematica. Dopo un’ispezione della Asl, all’azienda vengono negati gli indennizzi in quanto rilevate alcune irregolarità, tra “minori” (che non comportano rischi per la salute umana) e “maggiori” (con rischio per la salute umana e degli animali). Cose che si sistemano — sì — ma che richiedono tempo, soldi, e spesso anche autorizzazioni edilizie e sanitarie. L’azienda chiede proroghe per sistemare il tutto. Alcune le ottiene, altre no, altre ancora restano nel limbo senza risposta. L’indennizzo, dunque, viene negato, nonostante, peraltro, la presenza della brucellosi, in quello stabilimento raso al suolo, non fosse stata confermata post mortem. Da notare che in giudizio questo elemento, decisivo sul piano morale (e forse anche legale), non viene nemmeno portato. E quindi giustamente ignorato dal Tar. Insomma, un’ennesima occasione mancata — per molti una storia di accanimento burocratico — per ristabilire un po’ di giustizia in una vicenda sulla quale le nuvole stentano a diradarsi.

Sul piano giuridico, nulla quaestio, attese le “carte”. Tuttavia, gli indennizzi, che in via ordinaria vengono considerati in termini di “premialità”, nel caso di specie dovrebbero essere considerati in termini risarcitori e compensativi, viste le responsabilità in capo alle amministrazioni pubbliche (nell’accertamento delle malattie e sull’uso sproporzionato del principio di precauzione sanitaria nelle decisioni di abbattimento — in alcuni casi accertate e sanzionate dal Consiglio di Stato).

Ed è proprio questo uno dei punti essenziali dei fatti, visto che il provvedimento con il quale si è dichiarata “non indenne” — e quindi focolaio — quell’azienda, non sarebbe stato conforme al Regolamento Ue 689 del 2020 e successivamente al Decreto del ministero della Salute del 3 maggio 2024. Infatti, il provvedimento si sarebbe basato sulle sole prove indirette, cioè sierologiche. E se a questo si aggiunge che la conferma della presenza del patogeno non è mai avvenuta, ne consegue che quel provvedimento di abbattimento avrebbe dovuto essere considerato illegittimo: niente brucellosi, nessuna giustificazione per la Regione a non voler erogare l’indennizzo.

Intanto — lamentano gli allevatori bufalini delle aziende medio-piccole — il “blocco triennale” degli indennizzi previsto dalla famigerata delibera regionale 104/2022, applicato in automatico a chiunque non rispetti fino all’ultimo cavillo, starebbe letteralmente devastando la piccola e media zootecnia bufalina campana. Non solo non arrivano i soldi per ripartire dopo l’abbattimento, ma le banche non sempre concedono prestiti per adeguare gli impianti alle pretese della Regione. Così gli allevatori finiscono in un cortocircuito senza uscita: non possono sistemare le stalle senza credito e, mentre chi riesce a resistere in qualche modo, arriva la tagliola dei prezzi di svendita del latte alla stalla “imposti” dai grandi caseifici — e senza stalle “perfette” perdono qualsiasi diritto: all’indennizzo, ad esistere.

È la legge a imporlo, sono le regole volute e difese dal governatore Vincenzo De Luca, dall’assessore Nicola Caputo e dal direttore dell’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno, Antonio Limone. Parlano di “salute pubblica” e di un “principio di precauzione” molto spesso — e a sottolinearlo ci ha pensato anche il Consiglio di Stato — assolutamente sproporzionato e tale da lasciare senza respiro un segmento importantissimo del comparto agricolo, fatto di aziende familiari, spesso piccole, che non riescono più a sostenere il peso delle carte e degli abbattimenti.

“Che la brucellosi sia un problema da affrontare è fuori discussione — sottolinea Maria Muscarà, consigliera regionale campana indipendente da tempo sul pezzo —. Ma qui si va ben oltre la sanità animale: si colpiscono allevatori che non hanno mai avuto conferme diagnostiche della malattia, si impongono vincoli strutturali irrealistici, e si nega ogni forma di ristoro economico. Il principio del “chi sbaglia paga” diventa “ti controllo e vediamo”. Anche se ha fatto tutto il possibile per adeguarsi. Anche se non c’era la brucella. Anche se l’indennizzo, in questi casi, ha natura compensativa e non premiale”.

Ora si attende l’esito della reazione, del ricorso al Consiglio di Stato. Un passaggio non scontato, ma necessario se si vuole evitare che questa giurisprudenza diventi prassi. Gli allevatori parlano ormai di “giustizia amministrativa che legittima l’ingiustizia reale”. E c’è da capirli. Intanto, gli ennesimi ricorsi respinti segnano un altro passo verso l’estinzione lenta e silenziosa di una componente essenziale della filiera bufalina casertana (che da sola realizza quasi il 70 per cento dell’intera produzione di latte di bufala campana destinato alla trasformazione per la Mozzarella di Bufala Campana Dop). Non per colpa di un virus, ma per effetto di una macchina burocratica che, invece di curare, sembra più interessata a punire, a espellere, a selezionare.

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