Suicidi in carcere, la strage silenziosa: detenuto di Grumo Nevano si impicca ad Ariano Irpino

Si chiamava Antimo Luigi Bencivenga ed era ritenuto vicino al clan D’Agostino-Silvestre di Sant’Antimo. Si trovava in carcere in quanto accusato dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e detenzione e concorso in porto abusivo di armi.

Antimo Luigi Bencivenga
Antimo Luigi Bencivenga

Ancora un suicidio dietro le sbarre, il sesto in Campania nel 2024. Nelle carceri italiane si assiste a una strage infinita. Una vera e propria carneficina. Da inizio anno sono 42 i suicidi nei penitenziari nostrani. Un detenuto napoletano di 38 anni si è tolto la vita nella casa circondariale di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. E’ successo giovedì sera. Il recluso era di Grumo Nevano. Si chiamava Antimo Luigi Bencivenga ed era ritenuto vicino al clan D’Agostino-Silvestre di Sant’Antimo.

Si trovava in carcere in quanto accusato dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e detenzione e concorso in porto abusivo di armi. Ad Ariano Irpino era giunto un paio di settimane fa da Carinola, dove si era reso protagonista di numerosi disordini. Una crisi dietro l’altra, in un continuo crescendo, poi il tragico gesto. La giornata di mercoledì è stata l’anticamera del suicidio. Ventiquattro ore prima di togliersi la vita, infatti, il 38enne di Grumo Nevano avrebbe aggredito cinque agenti della polizia penitenziaria, in seguito ad altri atti di violenza contro persone e cose. Si è scagliato più volte contro la porta della cella.

Per questo motivo era stato messo in isolamento. La tragedia è avvenuta giovedì sera, pochi minuti prima delle 21. Erano le 20,40 quando gli agenti hanno assistito a una scena che non dimenticheranno mai: Bencivenga impiccato alla finestra – come affermano dal sindacato Sappe – “con l’elastico degli slip”. I poliziotti hanno tentato in tutti i modi di salvarlo, ma hanno avuto difficoltà nell’aprire la cella, la cui porta era stata appunto danneggiata. La cella è poi stata aperta con l’aiuto di un altro detenuto.

“Dopo ciò – racconta Donato Capece, segretario generale del Sappe – è intervenuto il medico di turno per i primi soccorsi e il 118 che ne ha constatato il decesso. Siamo costernati e affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”. Inquirenti e investigatori stanno indagando per scoprire le motivazioni alla base del gesto estremo. Bencivenga, per chi lo ha seguito in carcere, non aveva mai palesato un istinto anti-autoconservativo. Non solo: non aveva nemmeno difficoltà con la famiglia, né tantomeno la famiglia aveva problemi economici a punto tale da potersi lamentare per la distanza. Allora perché togliersi la vita? Non si esclude che le reali intenzioni del 38enne fossero quelle di compiere un gesto provocatorio. Forse voleva soltanto inscenare, con enfasi, un’azione autolesionistica. Un modo per protestare, verosimilmente, contro gli agenti della polizia penitenziaria o contro il sistema carceri. Resta l’amaro e il dolore per l’ennesima tragedia di un contesto, quello penitenziario, che sta mostrando il suo lato più crudo.

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