CASAPESENNA – Proteggere l’azienda agricola intestata alla loro mamma (Raffaele Fontana, scomparsa l’anno scorso). E per farlo, tra il 2006 e il 2013, l’avrebbero sostanzialmente svuotata, girando macchinari, crediti e bestiame alle società immacolate di due prestanome.
È questo il tema dell’indagine, condotta dalle fiamme gialle, che ha portato a processo cinque persone per le quali, ieri, il pubblico ministero Ciro Capasso ha chiesto la condanna.
Chi sono? Due coppie di fratelli e l’amministratore giudiziario.
Chi si sarebbe attivato per ‘proteggere’ l’azienda sottraendola, di fatto, a misure di sequestro, a detta della Dda, sono stati Carmine e Antonio Zagaria, fratelli del boss Michele ‘Capastorta’, ergastolano ed esponente di spicco del clan dei Casalesi. Per loro il pm ha proposto 5 anni di reclusione a testa.
Le ‘teste di legno’ da loro usate sarebbero state Antonio Zagaria, 50enne di Casagiove, e suo fratello Fernando (stesso cognome, ma non parenti alla famiglia del mafioso). Per il primo, residente a Casagiove, sono stati proposti 14 anni di reclusione, per il secondo 5 anni.
I quattro Zagaria rispondono di trasferimento fraudolento di beni aggravato dall’aver agevolato i Casalesi.
L’amministratore giudiziario che sta affrontando il processo, dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, è Aristide Casella che rischia 5 anni di reclusione: gli inquirenti gli contestano i reati di rifiuto d’atti d’ufficio, sottrazione di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale e favoreggiamento reale.
Il professionista del Vomero, afferma la Dda Antimafia, avrebbe compiuto “atti ed omissioni volti a favorire la famiglia camorristica Zagaria”.
Casella, dice l’accusa, era consapevole che prima Carmine e poi Antonio Zagaria si avvalevano di prestanome nella gestione dell’azienda, consentendo e aiutandoli “a continuare ad approvvigionarsi del profitto” grazie al presunto trasferimento fraudolento di beni messo in atto.
Ad Antonio Zagaria di Casagiove, la Dda contesta anche il reato di concorso esterno al clan. Facendo da prestanome ai fratelli del boss, prima di cedere il testimone a Fernando, “tramite operazioni contabili di comodo”, come sovrafatturazioni e sottofatturazioni, avrebbe fatto risultare, diversamente dalla realtà, maggiori i ricavi e minori i costi dell’azienda, “fungendo anche da intermediario per la creazione dei fondi in nero”, soldi che in parte andavano a gonfiare le sue tasche e in parte quelle della famiglia del capoclan.
Gli imputati, da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile, sono assistiti dai legali Angelo Raucci, Giovanni Cantelli, Ferdinando Letizia, Andrea Imperato, Enzo D’Amore, Fabrizio Rondino, Nicola Bovienzo e Alberto Messina. Il processo riprenderà a luglio per le discussioni dei legali.