MILANO – Nel 2015 era partita con il marito, Mohamed Koraichi, militante dell’Isis di origine marocchina, e con i figli per la Siria. Per i 5 anni successivi, fino allo scorso settembre, è rimasta nelle terre controllate dal Califfato. Poi, a settembre scorso, la svolta. I carabinieri del Ros l’hanno individuata tra le 40mila persone che abitano nel campo profughi di Al-Halw, controllato dalle forze curde, e l’hanno riportata in Italia insieme ai bambini.
La condanna
Alice Brignoli, 42 anni, è stata condannata a 4 anni, con rito abbreviato, dal gup di Milano Daniela Cardamone per associazione a delinquere con finalità di terrorismo. La foreign fighter lecchese, che da settembre è detenuta nel carcere di Piacenza, è stata anche condannata a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Ai 4 figli minori, rappresentati in giudizio da un curatore speciale, dovrà versare 5mila euro a testa a titolo di provvisionale a cui potrebbero aggiungersi ulteriori risarcimenti che verranno determinati in sede civile.
Adesso i bambini – i più grandi di 11, 9 e 7 anni e sono nati in Italia mentre il più piccolo è nato in Siria – sono ospitati da una comunità protetta. La mamma li sente tutti i giorni al telefono e con videochiamate e presto potranno riallacciare i rapporti anche con i nonni materni.
Il percorso di fanatismo religioso
Proprio i figli sono la molla che sta spingendo la ‘mamma dell’Isis’ ad abbandonare il percorso di “fanatismo religioso” abbracciato 15 anni fa. Ne sono convinti il pm Alberto Nobili, capo del pool antiterrorismo milanese, e il pm Francesco Cajani, titolari delle indagini, dopo aver parlato a lungo con la 42enne che sta cercando di ricostruirsi.
La strada dell’estremismo, Alice Brignoli la condivideva appieno con il marito, morto in Siria per cause naturali. Quella di partire con i figli nel 2015 per i magistrati era stata “una scelta strategica” della coppia che voleva “far diventare i figli futuri combattenti, come è successo al più grande dei loro bambini”.
Lo strappo con l’Italia
Lo strappo con l’Italia, Alice Brignoli lo ha fatto animata da “grande entusiasmo”, cercando di convincere anche la madre e altri familiari a convertirsi. Era “addestrata” e aveva indottrinato “i figli in tenera età”. La foto del suo profilo WhatsApp “mostrava i tre bambini vestiti da combattenti con il dito alzato” verso il cielo, gesto tipico dei jihadisti. Un condizionamento dal quale non è facile affrancarsi, anche se adesso la donna sta lottando per riappropriarsi dell’identità che aveva “smarrito per strada”. Anche per questo la 42enne, pur facendo un percorso individuale per tornare alla normalità, ha deciso di non collaborare con i pm e di raccontare poco o nulla della sua vita nel Califfato e delle persone con cui ha vissuto per 5 anni.
La confessione
Prima della sentenza, in un video collegamento dal carcere di Piacenza, la foreign fighter ha tentato di spiegare il momento che sta attraversando. “Io non sono più la donna che ero da 15 anni a questa parte – ha detto – non rifarei più quello che ho fatto, però ho bisogno di seguire un percorso e in questo sono molto aiutata dai rapporti con i miei figli”.
“La condanna non fa bene a nessuno, l’obiettivo non era quello. Speriamo davvero invece che questo sia l’inizio di un percorso di recupero e che possa concludersi in modo positivo”, ha sottolineato il pm Alberto Nobili. “Alice Brignoli ci ha ringraziato, si è resa conto di quanto sia stato importante il ritorno in Italia per la sua vita e per il futuro dei suoi figli – ha concluso il magistrato – : nel campo da cui provenivano parlare di futuro è davvero complicato”.
(LaPresse)