Teverola, scatta il 41 bis per il boss Aldo Picca: dal carcere può ancora guidare la cosca

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Aldo Picca e Salvatore De Santis

TEVEROLA – Anche in carcere, Aldo Picca, 68enne, esponente di spicco del clan dei Casalesi, sarebbe in gra- do di mantenere contatti con
gli affiliati liberi dell’orga- nizzazione di appartenenza, trasmettendo ordini e continuando a esercitare un ruolo di vertice. Ed è per tale ragione che il ministero della Giustizia, guidato da Carlo Nordio, dopo aver esaminato le relazioni della Dire- zione distrettuale antimafia
di Napoli e della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha disposto per il boss, ora in cella a Catanzaro, guida della cosca che
porta il suo cognome, attiva tra Teverola e Carinaro, il 41 bis. Il decreto ministeriale sottolinea come “la semplice detenzione di esponenti di alto livello delle organizzazioni mafiose non garantisca la cessazione della loro opera- tività” e come sia necessario recidere ogni collegamento con l’esterno. Per gli apparati investigativi, il boss teverolese possiede ancora la capacità di orientare le strategie criminali e di influenzare l’equilibrio tra i gruppi attivi sul territorio, un rischio che – si legge nel provvedimento – “impone l’adozione di misure differenziate e più restrittive”. Picca non è nuovo al carcere duro: era già stato sottoposto al 41 bis dal 2002 al 2020.

Dopo diciannove anni di detenzione, nel 2020 era tornato libero. Un ritorno, spiegano le carte, che non sarebbe stato segnato da una rottura
con il passato. Gli inquirenti ricostruiscono come, dopo 19 anni di carce- re, Picca sia stato sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Teverola. Ma nel settembre 2024, a seguito di un’ampia attività investigativa, è scattata per lui una nuova ordinanza di custodia cautelare che lo ha riportato dietro le sbarre. Le intercettazioni e gli accertamenti hanno delineato un quadro preciso: una volta
libero, Picca avrebbe immediatamente avviato incontri e contatti per riaffermare la propria egemonia criminale, cercando di riorganizzare il
clan, con il supporto di Nicola Di Martino e Salvatore De Santis, e rivendicare il controllo delle attività illecite su Teverola e Carinaro.

Un’azione di forza, sottolineano gli investigatori, condotta senza sottostare all’autorità delle due storiche fazioni dei Casalesi, quella dei Bidognetti e quella degli Schiavone. L’attività investigativa ha portato la Dda a contestargli accuse pesanti: associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti ed estorsione aggravata. Il quadro ricostruito dagli investigatori colloca Picca come leader riconosciuto del clan Picca-Di Martino, impegnato a riorganizzare le proprie fila dopo anni di detenzioni e processi, e ancora capace – grazie ai contatti maturati nel tempo – di veicolare all’esterno disposizioni e ordini. In relazione a queste contestazioni, oggi il boss, assistito dal legale Vincenzo Motti, è al centro di un nuovo processo dinanzi alla seconda sezione collegiale del Tribunale di Napoli Nord. Per il ministero della Giustizia, la misura del carcere duro resta “quanto mai attuale e necessaria” di fronte a figure in grado di minacciare l’ordine e la sicurezza pubblica anche dalla cella.

Un regime che, per Picca, significa colloqui ridotti e filtrati, corrispondenza controllata, isolamento dagli altri detenuti e drastica limitazione delle attività socia- li: l’obiettivo, spiegano gli inquirenti, è impedire che il “capo” possa continuare a fare il capo. Contro tale provvedimento
del ministero della Giustizia, la difesa del boss potrà ricorrere alla Sorveglianza di Roma.

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