TORINO – La promessa era stata chiara, quasi una dichiarazione di intenti diffusa via social: “Niente sarà più come prima, il campo è stato tracciato. La partita non è finita, ma solo iniziata”. E la partita, annunciata dagli autonomi del centro sociale Askatasuna all’indomani dello sgombero per l’assalto alla sede de La Stampa, si è giocata ieri nel cuore pulsante di una Torino vestita a festa per l’ultimo sabato di shopping natalizio, trasformando le vie del centro in uno scenario di guerriglia urbana.
Il bilancio della giornata è pesante: scontri violenti, danni e, soprattutto, sette agenti delle forze dell’ordine finiti in ospedale. Tutto è iniziato nel primo pomeriggio, quando un imponente corteo di oltre duemila persone si è mosso da Palazzo Nuovo, storica sede delle facoltà umanistiche dell’ateneo torinese. Un serpentone eterogeneo, composto da giovani antagonisti, ma anche da famiglie e residenti del quartiere Vanchiglia, roccaforte del centro sociale. A loro si sono unite delegazioni arrivate da Milano, Genova e dal Nord-Est, sventolando bandiere No Tav e della Palestina, a testimonianza di una rete di solidarietà che travalica i confini cittadini.
Gli slogan, scanditi a gran voce, non lasciavano spazio a interpretazioni: “Askatasuna vuol dire libertà, nessuno ci fermerà” e “guai a chi ci tocca”. La tensione, palpabile fin dall’inizio, è esplosa quando i manifestanti hanno tentato di forzare il cordone delle forze dell’ordine che presidiava le vie di accesso al centro storico. Dalle prime file del corteo è partito un fitto lancio di oggetti, bottiglie e bombe carta contro gli agenti in tenuta antisommossa. La risposta è stata immediata, con cariche di alleggerimento e l’uso di lacrimogeni per disperdere la folla. Per ore, il centro città è rimasto ostaggio degli scontri, con cassonetti rovesciati e un’atmosfera spettrale che ha preso il posto della frenesia natalizia.
Le reazioni politiche non si sono fatte attendere, tracciando un solco netto tra le diverse fazioni. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha contattato il capo della Polizia, Vittorio Pisani, per sincerarsi delle condizioni degli agenti feriti, esprimendo tramite il questore di Torino, Paolo Sirna, l’apprezzamento per la “professionalità” e l’”equilibrio” dimostrati.
Di tutt’altro tenore le parole del vicepremier Matteo Salvini, che su Facebook ha pubblicato un video degli scontri commentando con toni durissimi: “Da una parte donne e uomini in divisa, che difendono la legalità. Dall’altra parte i soliti violenti, figli di papà frustrati e falliti, che oggi hanno mandato sette agenti all’ospedale. Lo sgombero di Askatasuna è solo l’inizio. Ruspe sui centri sociali covi di delinquenti”.
Una posizione netta, a cui ha fatto da contraltare quella dell’ex sindaca di Torino e deputata M5S, Chiara Appendino. Pur definendo “inaccettabili” le immagini di guerriglia e “inevitabile” lo sgombero, Appendino ha accusato il governo di strumentalizzazione: “Non pensi di rifarsi una verginità sulla legalità. Questo è il governo dell’insicurezza: i reati sono in crescita e aumentano di pari passo con la carenza di personale delle forze dell’ordine”. L’ex prima cittadina ha poi incalzato l’esecutivo, chiedendo di stanziare fondi per nuove assunzioni e di affrontare l’occupazione di CasaPound, perché “la legge deve essere uguale per tutti”.
Oggi, all’indomani della battaglia, Torino si lecca le ferite. La città appare divisa, sospesa tra la richiesta di legalità a ogni costo e le rivendicazioni di uno spazio sociale che si sente sotto attacco. La promessa degli autonomi, “la partita è solo iniziata”, risuona ora come un sinistro presagio su un inverno che si annuncia rovente.

















