Torturata e uccisa dalla camorra, Gelsomina Verde riconosciuta vittima innocente dopo 20 anni

I parenti della ragazza carbonizzata nel 2004 durante la prima faida di Scampia potranno accedere ai benefici economici. Rimosso il vincolo del quarto grado parentela, giustizia per decine di morti senza macchia.

Gelsomina Verde
Gelsomina Verde, vittima innocente della camorra

Ci sono voluti 20 anni, ma alla fine giustizia è stata fatta. Gelsomina Verde è stata finalmente riconosciuta vittima innocente della camorra. Questo grazie al fatto che la Corte Costituzionale ha abrogato con sentenza numero 122 del 4 luglio la norma di legge sul quarto grado di parentela (articolo 2-quinquies comma 1 lettera a del Decreto Legge 151 del 2008). Una legge che per anni, grazie anche ad un’interpretazione restrittiva del Ministero dell’Interno, ha precluso a decine di familiari di vittime innocenti della criminalità organizzata di vedersi riconosciuti benefici economici previsti per legge.

Ciò sulla base del principio della non estraneità ad ambienti delinquenziali, che veniva dimostrato proprio grazie alla previsione del quarto grado, una presunzione assoluta applicata dunque in modo automatico, nonostante in molti piccoli centri a forte presenza di organizzazioni di stampo mafioso è facile vi siano legami di parentela tra persone interne ai clan e altre che ne sono totalmente estranee. Un automatismo “spezzato” dalla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi dalla Corte di Appello di Napoli in relazione al caso di Gelsomina Verde, la ragazza di 21 anni barbaramente torturata e uccisa nel 2004 – il suo corpo fu poi dato alle fiamme – nel pieno della cosiddetta prima faida di Scampia.

Ai familiari della giovane vittima, proprio per la norma sul quarto grado, non erano stati riconosciuti i benefici di legge dal ministero dell’Interno, e così l’avvocato della famiglia Verde, Liana Nesta, ha fatto ricorso al giudice civile, sostenendo già in quella circostanza l’incostituzionalità della norma, ma l’istanza è stata respinta. In secondo grado invece la Corte d’Appello ha inviato gli atti alla Consulta, ritenendo che la norma sul quarto grado violasse gli articoli 3 e 24 della Costituzione, e ciò perché irragionevole e “sconfessata dalla realtà”, per violazione del principio di eguaglianza, in quanto crea situazioni discriminatorie, e del diritto di difesa.

Su tali questioni l’avvocato dello Stato aveva chiesto alla Consulta una pronuncia di inammissibilità per carenza di rilevanza, ma la Corte Costituzionale è stata di parere opposto abrogando la norma perché viziata da “irragionevolezza intrinseca” e “sproporzionata rispetto alle legittime finalità di legge”. “Al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado, può non corrispondere alcuna contiguità al circuito criminale” ha sentenziato la Corte.

“Abbiamo trascorso gli ultimi dieci anni – spiega l’avvocato Giovanni Zara, che ha difeso numerosi familiari di vittime innocenti dei clan – a batterci per veder riconosciuto il diritto, consegnando dossier a politici e prefetti, scrivendo fiumi di carte e ricorsi tutti documentabili, a difesa della memoria di chi è stato ucciso senza alcuna colpa. Ora sul caso di Gelsomina Verde la Consulta ha messo un punto. Ha asciugato in parte, l’inconsolato senso di impotenza di quelle madri, sorelle, figli, fratelli e padri che hanno visto cestinare le loro istanze in maniera illegittima”.

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