CASAL DI PRINCIPE – L’inchiesta che ha portato in carcere Antonio Schiavone, fratello del capoclan, non si limita a svelare nuovi dettagli sull’impero agricolo costruito dai Casalesi. Ha riacceso, infatti, i riflettori sul tentativo – poi naufragato – di collaborazione con la giustizia proprio di Francesco Schiavone, alias Sandokan, ritenuto per decenni il vertice indiscusso del clan. Secondo la tesi dei carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, una parte consistente dei guadagni mafiosi accumulati dal boss sarebbe stata reinvestita in terreni tra Casal di Principe e Grazzanise, aree agricole formalmente intestate a prestanome ma nella sostanza sempre nella disponibilità della famiglia Schiavone. Dagli atti emerge come la Procura di Napoli avesse inizialmente avviato un percorso di collaborazione con il capoclan, attivando persino un programma provvisorio di protezione. Sandokan era stato ascoltato in ben diciannove interrogatori, nel corso dei quali aveva riferito informazioni su varie vicende criminali.
Le sue dichiarazioni, però, si sono rivelate presto problematiche. In molti casi, ha ricostruito il gip che ha disposto l’arresto di Antonio Schiavone, le notizie fornite dal boss erano già note agli inquirenti perché emerse in indagini concluse, in processi in corso o addirittura in procedimenti già definiti con sentenza. In altri casi, le versioni di Sandokan sono apparse in contrasto con prove raccolte in altri filoni d’indagine o con dichiarazioni di collaboratori di giustizia ritenuti affidabili, nonché con sentenze passate in giudicato che hanno già delineato la storia criminale e l’assetto organizzativo del clan. Nella valutazione della Procura, molte delle narrazioni del boss si sono rive
late manifestamente illogiche e incoerenti rispetto al ruolo di primo piano da lui ricoperto sin dagli anni Ottanta.
Una contraddizione ancora più evidente se si considera la centralità assunta da Schiavone a partire dal 1988, anno della scomparsa di Antonio Bardellino, storico capomafia dell’Agro aversano legato a Cosa nostra siciliana. Questi elementi hanno spinto i magistrati a richiedere, il 14 giugno 2024, la revoca del programma provvisorio di protezione, segnando di fatto la fine del tentativo di collaborazione. Un passaggio cruciale, però, rimane. Nel corso degli interrogatori, Sandokan ha ammesso di avere investito parte dei proventi illeciti nell’acquisto di terreni agricoli. In particolare, ha confermato l’operazione che aveva portato all’intestazione fittizia a nome di Armando De Angelis di alcune delle aree finite ora al centro delle contestazioni. Un’ammissione che, se da un lato conferma la volontà del boss di fornire elementi agli inquirenti, dall’altro rafforza la ricostruzione investigativa fatta dai carabinieri sui beni accumulati in decenni di camorra.