Tumore al seno, anche se in fase avanzata oggi si vive di più. E’ quanto scaturito dal Congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo). Per queste tipologie di pazienti e di tutte le età oggi la medicina può garantire maggiore sopravvivenza e migliore qualità di vita.
Nuove cure
“In Italia vivono più di 37mila donne con diagnosi di tumore dal seno metastatico – spiega Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli –. Ma grazie a una nuova classe di farmaci si può evitare il ricorso alla chemioterapia in prima linea o di posticiparla, con grandi vantaggi per le pazienti in termini di qualità di vita e di minori tossicità. In particolare, ribociclib rappresenta la prima molecola di questa classe che ha dimostrato ripetutamente di prolungare in maniera significativa la vita delle donne in pre e post-menopausa, in combinazione con terapia ormonale”.
La neoplasia
Il tumore in stato avanzato al seno o metastatico colpisce attualmente in Italia circa 37mila donne. Grazie ai progressi della ricerca medica oggi è più aggredibile rispetto al passato con nuove terapie, prolungando la sopravvivenza dei pazienti anche di 4 anni.
Lo studio
Lo studio Monaleesa-3 dimostra un’accresciuta aspettativa di vita per le donne con carcinoma mammario avanzato HR+/HER2. Tre pazienti su 761 sensibile agli ormoni nell’arco di età tra i 55 e i 65 anni, hanno dimostrato che la terapia mirata con la molecola ribociclib riduce del 28% il rischio di morte ed il 58% delle pazienti è vivo dopo quasi 4 anni. “Questo risultato – spiegano gli oncologi – sarà un’arma chiave per le 10mila nuove pazienti italiane che ogni anno lottano contro un carcinoma mammario avanzato“.
Vita più lunga
“Ora – spiega Pierfranco Conte, professore di oncologia medica all’Università di Padova – si è in grado di prolungare il controllo della malattia. Queste pazienti hanno un’opzione che può consentire loro un allungamento di vita. Tanto che il 30% di esse è viva. Per loro si può parlare di una cronicizzazione della malattia“.