TORINO – Nuove mosse di Ankara contro l’opposizione e il dissenso, mentre il presidente Recep Tayyip Erdogan risponde con ira agli Usa dell’omologo Joe Biden, che sabato ha dichiarato “genocidio” lo sterminio degli armeni da parte dell’impero ottomano: una dichiarazione “distruttiva per le relazioni bilaterali”.
Le procure di Smirne e Istanbul hanno emesso mandati di cattura per 532 militari accusati di essersi infiltrati nelle forze armate per conto della rete di Fetullah Gulen, predicatore musulmano rivale di Erdogan, in autoesilio negli Usa. Secondo l’agenzia Anadolu, 459 sono in servizio. L’operazione è stata lanciata in 62 province del Paese e nella Repubblica turca di Cipro Nord. Ankara ritiene Gulen responsabile di una lunga campagna per creare uno “Stato parallelo” e rovesciare il governo, attraverso l’infiltrazione nelle istituzioni, in particolare esercito, polizia e magistratura.
Gulen nega di essere la mente del fallito golpe, dopo il quale le autorità turche hanno arrestato decine di migliaia di persone, tra cui dipendenti civili e militari, mentre altre migliaia sono state licenziate o sospese dai loro incarichi. I militari espulsi sono almeno 20mila. Molti, nei Paesi occidentali e nelle organizzazioni per i diritti umani, hanno condannato la repressione, le purghe e l’erosione dei diritti d’espressione e dell’indipendenza giudiziaria.
Accuse simili riguardano l’attacco all’opposizione politica. E nel frattempo ad Ankara ha anche preso il via il ‘Processo Kobane’, conto 108 attivisti, dirigenti e parlamentari del partito filocurdo HDP. Tra loro anche lo storico leader Salahattin Demirtas, da tempo in carcere. Il capodelegazione del Partito democratico al Parlamento Europeo Brando Benifei è andato ad Ankara per seguirlo come osservatore internazionale. “Non è possibile lasciare che Erdogan utilizzi un processo politicamente ispirato per eliminare un pezzo fondamentale dell’alternativa democratica al suo regime”, ha dichiarato.
Le 108 persone sono state accusate di crimini (tra cui omicidio) per le proteste del 2014 contro l’inazione turca sull’Isis. Da Bruxelles è arrivato intanto un nuovo appello dal presidente del Consiglio Charles Michel, che ha ribadito la “profonda preoccupazione” su stato di diritto, diritti fondamentali e ritiro dalla Convenzione d’Istanbul. Dichiarazioni che seguono la visita condotta con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ad Ankara. E al centro c’è stato, quindi, il cosiddetto ‘sofagate’.
Von der Leyen ha detto che si è sentita “sola e ferita come donna e come europea”, consapevole che il trattamento ricevuto in Turchia (dove solo per Erdogan e Michel sono state previste poltrone) è stato “ingiustificabile” ed è “successo solo perché sono donna”. La leader tedesca non ha pubblicamente accusato Erdogan o Michel, dicendo solo che un fatto del genere non si era mai verificato prima.
Michel ha ammesso che avrebbe dovuto cedere la sedia, ma che “sul momento” ha scelto di “evitare un incidente politico che avrebbe rischiato di rovinare mesi di sforzi”. Ha promesso che s’impegnerà con la massima determinazione per la parità di genere: “Voglio far sì che stato diritto, uguaglianza, rispetto, non discriminazione siano al primo posto”, “per far avanzare l’Europa nella giusta direzione”.(LaPresse/AP)