NAPOLI – E’ riuscito a evadere dal carcere minorile di Bari praticando un buco nel muro della sua cella e calandosi all’esterno con delle lenzuola annodate. Così è fuggito P.I., diciassettenne originario del quartiere Fuorigrotta di Napoli, condannato a quindici anni di reclusione per l’omicidio di Gennaro Ramondino, un ragazzo di vent’anni assassinato a colpi di pistola nel quartiere Pianura e poi dato alle fiamme. Il corpo fu ritrovato in un terreno abbandonato il primo settembre del 2024, segnando l’inizio di un caso che aveva colpito profondamente l’opinione pubblica per la sua efferatezza. La vittima era di Fuorigrotta, ma frequentava ambienti vicini ai Santagata.
Secondo gli inquirenti, il delitto si sarebbe consumato per motivi legati al controllo di una piazza di spaccio. P.I., che si era consegnato poco dopo il delitto, aveva ammesso le proprie responsabilità confermando la pista investigativa seguita dagli inquirenti. Ma ora quel ragazzo, condannato in primo grado e rinchiuso in una struttura destinata ai minori, è riuscito a eludere i controlli e a fuggire, facendo riemergere con forza il tema della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari.
Le prime ricerche non hanno dato esito. Le forze dell’ordine si sono mobilitate immediatamente, presidiando le stazioni ferroviarie, i terminal dei trasporti pubblici e i nodi di transito più importanti sia in Puglia che in Campania. L’ipotesi più concreta è che il giovane abbia ricevuto aiuto dall’esterno, forse da ambienti legati alla criminalità organizzata barese con contatti con i clan di Pianura, oppure che sia stato supportato da persone pronte ad accoglierlo nella sua città d’origine. Non si esclude infatti che il ragazzo possa aver già fatto ritorno a Napoli, nel quartiere dove viveva prima dell’arresto, un contesto dove potrebbe contare su una rete di protezione familiare o amicale.
Le indagini in corso cercano di chiarire se altri detenuti minorenni possano essere stati coinvolti nel piano di evasione. Alcuni elementi fanno pensare che il giovane non abbia agito completamente da solo ma che altri reclusi, pur informati o coinvolti nella preparazione della fuga, abbiano poi deciso di non seguirlo nel tentativo. La ricostruzione dell’evasione sta ora occupando l’attenzione degli inquirenti e delle autorità carcerarie, alle prese con un nuovo episodio che mette in luce le fragilità strutturali del sistema di detenzione minorile.
Intanto, la tensione tra gli operatori del settore cresce. L’evasione viene vissuta come un nuovo segnale d’allarme su un sistema che fatica a garantire sicurezza e controllo, pur nella difficile missione di rieducazione affidata agli istituti penitenziari per minori.