BRUXELLES – Non si vede la luce in fondo al tunnel delle sanzioni. Il primo ministro ungherese, Victor Orban, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per chiedere di non parlare di embargo al petrolio nel prossimo vertice europeo di lunedì e martedì perché sarebbe controproducente senza un accordo.
Da Bruxelles non c’è stata ancora una risposta ufficiale e si continua a ripetere che si sta lavorando per trovare una soluzione ma la situazione inizia a incastrarsi tra i diversi capitoli aperti tra il governo ungherese e l’Ue. Di togliere il petrolio dal pacchetto di sanzioni non se ne parla, così come di approvarlo escludendo Budapest. Anche l’Ecofin di oggi ha parlato del sesto pacchetto di sanzioni, e la Commissione ha ribadito che “è importante andare avanti senza più indugiare” perché “sono già trascorse alcune settimane”, come ha sottolineato il vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis.
“Dobbiamo tenere a mente che nell’ultimo anno il 62% delle importazioni russe nell’Ue erano idrocarburi – ha rimarcato -. Quindi ci stiamo davvero occupando delle fonti di finanziamento della guerra russa e, di conseguenza, è importante che tutte le decisioni vengano prese senza ritardi”. Poco realistico l’auspicio del sottosegretario Enzo Amendola, che confida in un’approvazione già prima del Consiglio europeo di lunedì. Nella riunione dei rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’Ue di domani il pacchetto delle sanzioni non è nemmeno all’ordine del giorno.
La Commissione, da parte sua, sostiene di aver mostrato la massima flessibilità, inserendo nel RePowerEu fondi per investimenti anche in infrastrutture non verdi come il petrolio e il gas. E il capitolo dei 2 miliardi potrebbe servire proprio all’Ungheria, ma anche alla Slovacchia e alla Repubblica Ceca, per creare nuove connessioni al sistema di oleodotti e gasdotti europeo e staccarsi dalla rete russa. Il problema è che questi investimenti nella diversificazione energetica sono collegati al pnrr dei singoli Stati, che dovrebbero aggiungere un nuovo capitolo in cui convogliare l’eventuale quota di prestiti del Next Generation non richiesta in precedenza e la deviazione di fondi per la coesione, la Pac o delle quote Ets.
L’Ungheria, tuttavia, non ha ancora ricevuto il via libera all’approvazione del suo piano di ripresa e resilienza e potrebbe continuare a porre il veto per puntare più in alto. Per un diplomatico europeo quello di Orban è chiaramente un “tentativo di posizionamento” per cercare di ottenere di più. “Il governo ungherese ora sa che la Commissione è disposta a incontrarlo in un posto importante, come il Consiglio europeo, e quindi ‘staccare la spina’ al dibattito sulle sanzioni può essere solo una mossa per spremere e ottenere di più”, spiega.
Ormai il gioco è chiaro e lo si è visto con la Polonia, che si è opposta finora all’approvazione della tassazione minima sulle multinazionali – misura con cui l’Ue anticipa l’accordo globale Ocse – e che quasi sicuramente darà il suo via libera nell’Ecofin del 17 giugno, quando il suo recovery plan sarà approvato. Ormai si tratta di pochi giorni, massimo una settimana, ha annunciato il vicepresidente della Commissione Dombrovskis. Almeno il governo di Varsavia si è impegnato a riformare il sistema giudiziario e sta per abolire la Camera disciplinare dei giudici, da Budapest invece sul fronte dello stato di diritto non si vedono molti spiragli.(LaPresse)