Non credo siano stati molti a credere che nel mondo possano sorgere nuove dittature, men che meno nella progredita e democratica Europa. Viviamo in società cosmopolite, anche in conseguenza delle migrazioni: nell’era della cosiddetta “globalizzazione”, milioni di persone commerciano e viaggiano a basso costo e senza limitazioni di sorta. Le informazioni scorrono come fiumi in piena sulle reti social e sono centinaia di migliaia quelli che, dietro una tastiera, pensano di aver diritto a poter discutere di tutto solo perché sommariamente “informati” sui più disparati argomenti. E’ questa presuntuosa opinione che induce la gente a ritenersi capace di saper distinguere e giudicare i governi della cosa pubblica, di poterne cogliere anticipatamente i rischi di attentati alla libertà. Tuttavia così non è sia perché la libertà è una conquista di tutti i giorni (e mai definitiva), sia perché calando il grado culturale della popolazione ed aumentando quello del benessere, si tende a minimizzare i pericoli immateriali non cogliendone le reali avvisaglie. Oggi ci si fotografa dieci volte al giorno finanche innanzi alle pietanze servite in tavola, il fotoshop ci rende belli e perfetti, la cura esasperata del corpo ci conduce all’edonismo ed al narcisismo, più che a prestare attenzione ai saperi ed alla riflessione. Siamo convinti che certe tragedie non potranno più ripetersi e che le dittature e, peggio ancora, i totalitarismi siano consegnati ai libri di storia. Eppure basterebbe leggere Hannah Arendt per comprendere quanto quelle immani tragedie ed i crimini orrendi che le hanno accompagnate, siano stati edificati con il consenso della gente comune e da uomini anche banali nel loro essere quotidiano, diventati padroni di una società terrorizzata dalla sistematica cancellazione degli individui e delle loro prerogative civili ed umane. “Il guaio del caso Eichmann (l’aguzzino nazista catturato dagli israeliani nel dopo guerra) era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tutt’ora, terribilmente normali” diceva la scrittrice. Un altro fattore decisivo per la diffusione dei totalitarismi consiste nell’impoverimento della cultura e nella scomparsa dei veri intellettuali, uomini e donne, cioè, in grado di illuminare filosoficamente le coscienze. Persone, insomma, che non temono il potere né quando questo li minaccia né quando li lusinga per comprarne il silenzio. All’opposto, nei disastri delle dittature anche gli uomini di cultura hanno le mani sporche, perché si illudono di poter essere testimoni di verità “condivise” con il potere costituito ed i privilegi dei pochi che lo gestiscono. Se tutti scelgono il quieto vivere assopendo le proprie esistenze e tirando a campare per non inciampare in fastidiosi contrasti, ecco che la coscienza collettiva diventa una mera parvenza. Come sono nate le dittature se non organizzando e mobilitando masse di individui indifferenti all’idealità ed alla conoscenza, oppure da gente provata da congiunture economiche, sociali e politiche tremendamente difficili, che sceglie di vivere in sicurezza ed agiatezza all’ombra di un “uomo della provvidenza” che li riscatti dal bisogno? Il fascismo, il nazismo, il comunismo nacquero per gli esiti della prima guerra mondiale, la crisi economica post bellica, il senso di solitudine e di scoramento, la lacerazione dei legami politici e dei valori tradizionali. I regimi totalitari riescono ad illudere le masse di essere capaci di offrire risposte ai bisogni materiali e di appartenenza (ad un ceto o ad una razza superiore). Di sedurle e di mobilitarle per i loro scopi. Se l’uomo è privo di pensiero e di sensibilità civica, si limita a mettere in pratica gli ordini ricevuti. Le efferatezze dei regimi totalitari, dunque, sono state originate dall’assenza di conoscenza e scrupoli, dal meccanicismo dell’eseguire acriticamente gli ordini. In tali condizioni, allora, l’uomo diventa capace delle più disumane atrocità. E se il sonno delle coscienze, in questo secolo, non fosse più originato dagli stenti e dagli stravolgimenti economici e sociali di una guerra, ma dall’opulenza e dall’edonismo narcisistico, di una vita priva di essenza ed imbottita di apparenza, dagli agi sempre maggiori che offre la tecnologia, dal culto di apparire belli ed immortali, avremmo sufficienti difese contro i fermenti di una dittatura? Saremmo pronti a ribellarci in nome della sovranità nazionale, degli interessi diffusi, dell’amor di Patria, della difesa dei nostri diritti e delle nostre libertà e di quelle altrui? Esiste ancora la capacità di sacrificarsi e di rinunciare per l’idealità, un tessuto politico, culturale e civile che ci renda immuni dal sorgere un nuovo totalitarismo?