MILANO – Buone speranze per l’antidoto alla Hiv. E’ stato testato un vaccino che è riuscito a suscitare una risposta immunitaria in un gruppo di persone sane e a proteggere alcune scimmie dall’equivalente animale dell’Aids. Due segni giudicati molto promettenti dai ricercatori. Lo studio è stato descritto su Lancet, e proseguirà con una sperimentazione su larga scala in Africa.
Vaccino a mosaico
Il vaccino testato è ‘a mosaico’, nel senso che contiene frammenti di diversi ceppi di virus provenienti da diverse parti del mondo nel tentativo di renderlo ‘universale’. I ricercatori della Harvard Medical School lo hanno testato su circa 400 persone, su cui oltre a risultare privo di effetti collaterali rilevanti ha mostrato la capacità di stimolare una risposta immunitaria. Contemporaneamente un test su alcune scimmie esposte all’equivalente dell’Hiv ha mostrato un minor rischio di infezione del 64%.
Risultati positivi
I risultati sono così promettenti che il vaccino verrà testato su 2300 persone in diversi paesi dell’Africa subsahariana, ad alto rischio di contagio, per verificare l’efficacia, una fase della sperimentazione che finora hanno raggiunto solo cinque vaccini.
Cos’è l’Hiv
Il virus da immunodeficienza umana, conosciuto come Hiv, causa l’Aids infettando e danneggiando parte delle difese del corpo contro le aggressioni esterne, i linfociti, in particolare, che sono un particolare tipo di globuli bianchi che nel sistema immunitario hanno il compito di scacciare i batteri e virus invasori.
Il diretto contatto col sangue
L’Hiv può essere trasmesso attraverso il diretto contatto con il sangue o con i liquidi del corpo di qualcuno che è stato infettato dall’Hiv; il contatto di solito avviene scambiandosi aghi o avendo rapporti sessuali non protetti con una persona infetta. Un neonato può contrarre l’Hiv dalla madre che è infetta.
I primi segni dell’infezione da Hiv possono essere linfonodi ingrossati e sintomi simil-influenzali. Questi possono andare e venire per qualche tempo a distanza di circa 2-4 settimane dal contagio; mentre i sintomi gravi potrebbero non comparire fino a mesi o anni dopo.
La diagnosi
Viene formulata attraverso esami del sangue che possono fornire una risposta spesso definitiva già a 30 giorni dal comportamento a rischio.