Ville sequestrate al killer dei Casalesi, il racconto di Setola: “La licenza grazie al consigliere De Angelis”

Il capo dell’ala stragista lo ha raccontato al pm Milita nella sua breve parentesi di collaboratore con la giustizia. L’ex consigliere (non indagato) lo avrebbe aiutato ad avere il via libera

Il Giuseppe Setola collaboratore di giustizia è durato pochissimo: il tempo di permettere alla Dda di Napoli di riempire qualche pagina con le sue dichiarazioni e poi ha fatto dietrofront. Ma quella parentesi da pentito, seppur breve, è stata importante per l’Antimafia: ha contribuito a fornirle le prove necessarie per chiedere ed ottenere il sequestro preventivo di due immobili a lui riconducibili. Si tratta di due ville situate in via Fellini. Una è di 340 metri quadrati, suddivisa su due livelli e arredata in stile Scarface.

Ad abitarla erano la figlia, Rosaria Setola, e l’ex moglie del boss, Stefania Martinelli. L’altra, invece, di circa 150 metri quadrati, è rifinita ma non abitata. Gli immobili sono risultati essere abusivi e sfuggiti dal computo dei beni sequestrati a Setola, capo dell’ala stragista dei Casalesi, all’esito di una misura di prevenzione patrimoniale emessa nel gennaio 2009.

Nell’indagare proprio su queste strutture, la Procura di S. Maria C.V. ha rispolverato ciò che Setola, killer bidognettiano, disse al pubblico ministero della Dda Alessandro Milita il 18 ottobre 2014, quando era recluso nel carcere di Milano Opera e aveva dichiarato di voler iniziare a collaborare con la giustizia. In quella chiacchierata con il magistrato riferì di aver fatto costruire, in via Fellini, “una casetta di circa 120 metri quadrati”: il riferimento, quindi, è alla più piccola delle due che qualche settimana fa gli sono state portate via.

La costruzione, chiarì il boss, iniziò nel luglio 2008 e venne realizzata “da Ferdinando Russo con il denaro tratto dalle estorsioni. Ho dato 70mila euro a Russo affinché li impiegasse nell’edificazione”. L’abitazione venne realizzata su un terreno di proprietà della suocera, Rosa Martino. Setola riferì pure che l’immobile non era stato accatastato, ma che la licenza a costruire gli sarebbe stata garantita da un amministratore locale: “Fu grazie ad Antonio De Angelis”, disse il killer al pm Milita.

Setola lo indicò nel verbale come assessore, ma, invece, ha solo ricoperto la carica di consigliere quando a guidare la città c’era Cipriano Cristiano. Ed ora, invece, lavora per il Comune: è in servizio al Suap. “De Angelis – sostenne il killer – fece in modo che questa concessione mi fosse rilasciata violando le regole, per quel che so. Pagai 5mila euro per questa concessione, ma mi erano state richiesti 4.5800 euro che erano, per quel che mi fu detto, ciò che doveva essere versato per ottenere la concessione”.

I soldi sarebbero stati fatti arrivare a destinazione, disse il boss, “tramite Ulderico Chirico e Salvatore Santoro”. Logicamente ciò che riferì Setola, assistito dall’avvocato Paolo Di Furia, non va considerato ‘verità assoluta’, ma rappresenta soltanto una sua ricostruzione detta, ricordiamolo, nella fase in cui aveva iniziato a collaborare. Russo, Chirico, Santoro e De Angelis non sono coinvolti nell’inchiesta sulle due case sequestrate e, per quanto a nostra conoscenza, non risultano essere indagati in altre vicende di mafia (e sono da considerare innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile).

Il provvedimento di sequestro delle due abitazioni eseguito dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, coordinati dalla Procura, è stato emesso dalla Corte d’Assise di S. Maria Capua Vetere in seguito alla condanna definitiva di Setola in relazione al duplice omicidio di Nicola Baldascino e Antonio Pompa consumatosi il 31 ottobre 1997 in piazza Croce a Casal di Principe. Delitto di sangue che si concretizzò nell’ambito di una faida interna al clan dei Casalesi ed eseguito da Setola su ordine di Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte.

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