SANTA MARIA CAPUA VETERE – Violenza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, chieste misure cautelari per altri 29 agenti. Ma il gip si oppone e rigetta la richiesta della Procura. Perché, come si legge nell’ordinanza firmata dal gip Alessia Stadio, “si tratta di soggetti che hanno agito sotto comando, ed i cui comandanti sono già stati attinti da presidio cautelare, per cui si ritiene improbabile, che in assenza di disposizioni sul punto, volte cioè nuovamente a commettere fatti analoghi ai danni dei detenuti, possano reiterare le medesime o analoghe condotte”. La Procura, dal canto suo, ha già presentato istanza di appello al Tribunale di Napoli, che il 26 settembre – in sede di Riesame – dovrà decidere se deciderà se applicare o meno le misure cautelari.
I nomi degli indagati
Questi i nomi degli agenti coinvolti nella seconda fase dell’inchiesta sui pestaggi ai danni dei detenuti del carcere ‘Uccella’: Generoso Sanseverino, 59enne della provincia di Avellino; Domenico Garofalo, 52enne di Portico di Caserta; Maximiliano Battaglia, 47enne di Calvi Risorta; Arturo Amato, 53enne di Presenzano; Pasquale Amato, 55enne di Santa Maria Capua Vetere; Luigi Grimaldi, 54enne di Aversa; Angelo Tartaro, 52enne di Marcianise; Aurelio Heriberto Clemente, 52enne di Sant’Agata dei Goti; Nicola Bazzicalupo, 62enne di Teverola; Ciro Bazzicalupo, 61enne di Aversa; Nicola Macallè, 60enne di Cesa; Emilio Paone, 55enne di Teverola; Agostino Pignataro, 52enne di Portici; Antonio Curvo, 57enne di Cesa; Vito Aversano, 60enne di Grumo Nevano; Vincenzo Ghiezzi, 58enne di Pollena Trocchia; Luigi Martino, 58enne di Teverola; Marco Mosca, 58enne di Afragola; Luigi D’Ambrosio, 61enne di Lusciano; Cesario Marrandino, 55enne di Cesa; Marcello Zanna, 50enne di Teano; Mauro Cerrato, 56enne di Acerra; Domenico De Benedictis, 56enne di Portici; Antonio Santini, 54enne di Trentola Ducenta; Umberto Sollo, 62enne di Poggioreale; Eduardo Gammella, 62enne di Cervino; Armando Della Corte, 40enne di San Marcellino; Sossio Vitale, 63enne di Cardito. Quindici di loro sono oggi in servizio a Secondigliano, 13 al carcere di Santa Maria Capua Vetere e uno ad Avellino. Nel collegio difensivo gli avvocati Ferdinando Letizia, Domenico Scarpone, Carlo De Stavola, Gianluca Di Matteo, Angelo Raucci, Caterina Amodeo, Anna Russo e Carlo De Benedictis.
Le violenze del 6 aprile 2020
Si tratta del secondo filone d’inchiesta sui pestaggi avvenuti il 6 aprile 2020, successivi a manifestazioni di protesta di alcuni detenuti ristretti presso il carcere ‘Uccella’ di Santa Maria Capua Vetere, avvenute i precedenti 9 marzo e 5 aprile. In particolare, il 9 marzo 2020 un gruppo di circa 160 detenuti del ‘Reparto Tevere’ – diverso da quello dove poi si consumeranno le violenze del 6 aprile – dopo aver fruito dell’orario di passeggio, rifiutò di far rientro nel ‘Reparto’, protestando per la restrizione dei colloqui personali imposta dalle misure di contenimento del contagio da Covid-19. II 5 aprile seguì, poi, un’ulteriore protesta, operata da un numero imprecisato di detenuti del ‘Reparto Nilo’ e attuata mediante un barricamento delle persone lì ristrette e motivata dalle preoccupazioni insorte alla notizia del pericolo di contagio conseguente alla positività di un detenuto al Covid. L’iniziativa cessò nella tarda serata anche mediante l’opera di mediazione e persuasione attuata dal personale di polizia penitenziaria del carcere. All’esito della seconda protesta, quella del 6 aprile, fu organizzata una perquisizione straordinaria, nei confronti della quasi totalità dei detenuti del ‘Reparto Nilo’, intervento operato da 283 unità, costituita sia da personale appartenente alla casa circondariale, sia da personale facente parte del “gruppo di supporto agli interventi”. La ‘perquisizione’ fu attuata nei confronti di circa 292 detenuti del ‘Reparto Nilo”. All’esito della successiva acquisizione delle immagini di videosorveglianza ritraenti alcune fasi del relativo svolgimento – prova documentale confermata da numerose audizioni delle persone detenute – fu contestata l’arbitrarietà delle perquisizioni, disposte oralmente, ed emerse il reale scopo dimostrativo e, di fatto, finalizzato a ‘recuperare’ il controllo del carcere. La perquisizione risultò, di fatto, eseguita senza alcuna intenzione di ricercare strumenti atti all’offesa o non detenibili, ma, per la quasi totalità dei casi, le immagini della videosorveglianza resero una realtà caratterizzata dalla consumazione massificata di condotte violente e lesive della dignità dei detenuti.
Le denunce e le indagini
Seguirono un esposto del garante dei detenuti della Campania e una protesta, il 9 aprile, all’ingresso del carcere, da parte dei familiari di alcuni detenuti del ‘Reparto Nilo’ durante la quale gli stessi lamentarono che i propri familiari erano stati oggetto di percosse e alcuni dì essi avevano riportato anche lesioni. La denuncia trovò un ulteriore riscontro nella visita ispettiva operata dal magistrato di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere (nella stessa serata del 9 aprile), durante la quale alcuni dei detenuti del ‘Reparto di isolamento Danubio’ – provenienti dal ‘Reparto Nilo’ e li trasferiti nella serata del precedente 6 aprile – riferirono di violenze patite: detenuti, peraltro, ancora recanti sul corpo i segni delle lesioni subite e si palesarono anche le loro precarie condizioni. Emerse, infatti, che alcuni detenuti non avevano ricevuto biancheria da bagno e da letto, dotazione da bagno, lenzuola e cuscini; non erano stati visitati e, comunque, per loro non furono prescritte terapie – nonostante presentassero ecchimosi e contusioni evidenti – e fu, inoltre, impedito ogni colloquio telefonico con i familiari. Dalla visione dei filmati utili emersero, così, le violenze rivolte alla quasi totalità dei detenuti del ‘Reparto Nilo”, dato che tutti i detenuti di quel reparto, con esclusione solo di una “sezione”, erano stati, infatti, portati dalle loro celle alla sala ricreativa; alcuni di loro furono convogliati nella sala della socialità, altri nelle aree del passeggio. Il personale di polizia penitenziaria formò un ‘corridoio umano’ al cui interno furono costretti a transitare i detenuti, ai quali, a quel punto, furono inflitti calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscirono in alcun modo ad evitare, sia per il gran numero di agenti presenti, che per gli spazi angusti dei corridoio e degli altri locali in cui le violenze si concretizzarono. Alle violenze si sovrapposero ulteriori condotte di rilievo penale: le immagini riguardanti le sale della socialità, evidenziarono che gli agenti spesso costringevano i detenuti ad un prolungato inginocchiamento, sotto i loro ripetuti colpi, sferrati con manganelli o con calci, pugni e schiaffi. In alcuni casi, poi, le percosse inflitte ai detenuti si trasformarono in pestaggi, durante i quali i detenuti furono accerchiati e colpiti da un numero elevato di agenti, anche quando si trovavano inermi al suolo.
Le motivazioni del gip
I 29 agenti per i quali la Procura aveva chiesto misure cautelari restano indagati a piede libero. Secondo il gip Alessia Stadio “appare indubbia la gravità indiziaria. diversa si pone la valutazione sul piano delle esigenze di cautela, Sul punto va tenuto in considerazione il copioso tempo trascorso dai fatti, 4 anni, e la peculiarità dei soggetti, per gli incarichi rivestiti, e dei fatti per cui sì procede. Va, infatti, osservato che non si tratta di soggetti dediti ad attività delinquenziali, ma di appartenenti alle forze dell’ordine che in una evenienza tanto brutale quanto eccezionale hanno commesso. e concorso a commettere, i drammatici fatti per cui si procede, peraltro, sotto la direzione ed il comando dei loro superiori”. “Per tali ragioni – conclude il gip – anche in virtù delle conseguenze già subite da alcuni indagati poi imputati sul piano disciplinare. Anche in ragione del processo madre già in corso, si ritiene assai improbabile che fatti di questo genere possano essere commessi nuovamente. Sul punto va evidenziato ancora una volta che si tratta di soggetti che hanno agito sotto comando, ed i cui comandanti sono già stati attinti da presidio cautelare, per cui si ritiene improbabile, che in assenza di disposizioni sul punto, volte cioè nuovamente a commettere fatti analoghi ai danni dei detenuti, possano reiterare le medesime o analoghe condotte. Tra l’altro, a conferma di ciò, negli ultimi 4 anni non sono state mai denunciate altre condotte analoghe”. Il primo filone d’inchiesta è già oggetto di un maxi processo con 105 agenti alla sbarra.
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