CASERTA – Ennesimo terremoto giudiziario negli ambienti politici casertani. Dopo l’arresto di ieri dell’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli (CLICCA QUI) per concorso esterno in associazione mafiosa per aver favorito il clan dei Casalesi, oggi la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha indagato altri volti noti della politica.
Il blitz
Nella giornata odierna, nelle province di Caserta e Napoli, i carabinieri della Compagnia di Caserta, a completamento di un’articolata attività di indagine coordinata dai magistrati della Dda della Procura della Repubblica di Napoli, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di custodia cautelare in carcere, nonché degli arresti domiciliari e del divieto di dimora nelle province di Caserta e Napoli, emessa dall’ufficio Gip del Tribunale di Napoli. Sono 19 le persone coinvolte.
I reati contestati e i coinvolti
I 19 indagati sono accusati a vario titolo dei reati di scambio elettorale politico-mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Tra le persone coinvolte ci sono Pasquale Corvino e Pasquale Carbone, entrambi candidati con il “Nuovo Centro Destra – Campania Libera” durante le elezioni regionali del 2015. Entrambi sono stati ristretti agli arresti domiciliari. Indagata Lucrezia Cicia, candidata con Forza Italia ed ex consigliere comunale di Caserta, nonché compagna di Carmine Antropoli.
La ricostruzione della Dda: i rapporti tra politici e il clan Belforte
Questa la ricostruzione della Direzione Distrettuale Antimafia in merito al reato di scambio elettorale politico-mafioso. Pasquale Corvino e Pasquale Carbone, entrambi candidati con il “Nuovo Centro Destra-Campania Libera” durante le elezioni regionali 2015, sono stati ristretti agli arresti domiciliari poiché indagati per aver chiesto agli esponenti del clan Belforte di procurare loro i voti di soggetti legati all’associazione camorristica, in cambio dell’erogazione di somme di denaro e di altre utilità.
In particolare, Corvino avrebbe chiesto l’appoggio elettorale nel territorio di Caserta, promettendo ad Agostino Capone e Vincenzo Rea la somma di 3mila euro ciascuno, buoni spesa e buoni carburante, oltre a un ‘regalo’ per Giovanni Capone.
Anche il candidato Pasquale Carbone, attraverso un intermediario, si era rivolto ad Antonio Merola, affiliato al clan Belforte, fazione di Capone, per ottenere i voti del clan e, come corrispettivo, aveva versato la somma di 7mila euro in cambio di 100 voti nel Comune di Caserta. Al termine delle elezioni, Carbone otteneva nel capoluogo meno voti di quelli promessi, 87 anziché 100, motivo per il quale chiedeva la parziale restituzione della somma versata per il procacciamento dei voti.
Le intercettazioni: minacce per i voti
Nell’ambito del procacciamento dei voti, di particolare interesse risultano le conversazioni intercettate tra gli indagati, nelle quali Agostino Capone minacciava delle persone al fine di assicurarsi i voti: “Se non escono i voti devi vedere! Ti togliamo la macchina da sotto!”. A dimostrazione della forza intimidatrice utilizzata per ottenere i voti per Pasquale Corvino. Ulteriormente rilevanti sono le esternazioni sulle modalità con le quali sarebbe stato controllato il rispetto dei patti, cioè che i voti promessi a Corvino sarebbero effettivamente stati dati dagli elettori che avevano ricevuto i buoni spesa o carburante: “Li vado a prendere… li porto a votare fino a dentro! Con il telefono in mano faccio la foto, devo vedere sul telefono sennò non hanno niente!”.
A conferma della spregiudicatezza degli indagati, è stato accertato come Agostino Capone in persona si fosse occupato di accompagnare con la sua autovettura alcune persone anziane al seggio, facendole entrare nella cabina elettorale insieme alla moglie, per controllare se avessero votato bene. Lo stesso Capone, in una conversazione ambientale, raccontava alla moglie di aver controllato le schede prima di farle imbucare e di aver corretto con la matita il nome del candidato in Corvino, arrivando persino ad intimidire il presidente di seggio: “Non mi ha detto proprio niente perché io lo stavo menando a quello là dentro!”.
Le estorsioni sui manifesti elettorali: tra le vittime anche Luigi Bosco
Le indagini hanno permesso di accertare che Giovanni Capone, all’epoca detenuto, utilizzando dei “pizzini” aveva dato precise disposizioni al fratello Agostino Capone affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta. Quest’ultimo, avvalendosi della collaborazione materiale di Vincenzo Rea, Antimo Italiano, Antonio Merola e Antonio Zarrillo, imponeva ai candidati di fare riferimento alla società di servizi “Clean Service”, a lui riconducibile in quanto intestata alla moglie, Maria Grazia Semonella.
Tale imposizione avveniva sia con intimidazioni esplicite, come captato nel corso delle intercettazioni, sia attraverso minacce rivolte ai singoli soggetti sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte, sia coprendo i manifesti affissi senza ricorrere alla loro società, facendo poi arrivare il messaggio che tale inconveniente non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla società Clean Service. Tale condotta, di fatto, ha limitato la libertà contrattuale dei candidati, i quali, pur di poter continuare a svolgere la campagna elettorale anche attraverso l’affissione di manifesti, erano costretti ad affidare l’incarico di stampa ed affissione ad una ditta non scelta liberamente. Tra i candidati costretti a rivolgersi a Agostino Capone si segnala la presenza di Luigi Bosco, consigliere regionale in carica, il quale ha confermato che a Caserta vi erano state alcune anomalie, in quanto per avere visibilità era necessario rivolgersi ad un determinato gruppo di persone.
A conferma di ciò Bosco ha raccontato agli inquirenti che un suo collaboratore, durante l’affissione dei manifesti nel Comune di Caserta, era stato aggredito da alcune persone che gli avevano intimato di allontanarsi, in quanto a Caserta nessuno poteva affiggere senza il loro consenso. Dopo tale episodio, inoltre, Vincenzo Rea si era presentato presso il suo comitato elettorale con fare spavaldo, garantendo che affidando a loro l’affissione dei manifesti avrebbe avuto la giusta visibilità, viceversa avrebbe avuto dei problemi. Come emerge dalle conversazioni captate tra gli indagati, i proventi di tale attività ammontavano a circa 17mila euro, dei quali una parte erano destinati a rimpinguare le casse della fazione del clan riferibile a Giovanni Capone, con particolare riferimento al mantenimento degli affiliati all’epoca detenuti in carcere.
I coinvolti nell’operazione: anche il defunto Domenico Ventriglia, ex sindaco di Curti
Sono finiti in carcere: CAPONE Giovanni, cl. 1965; CAPONE Agostino, cl. 1968; ITALIANO Antimo, cl. 1960; MEROLA Antonio, cl. 1982; REA Vincenzo, cl. 1960; ZARRILLO Antonio cl. 1967; DE LUCA Mario, cl. 1969; NOVELLI Roberto, cl. 1965; PALMIERI Rosario, cl. 1973; SANTORO Modestino, cl. 1972; VERGONE Clemente, cl. 1970; GUALTIERI Giovanni, cl. 1978.
Agli arresti domiciliari: CARBONE Pasquale, cl. 1962; CORVINO Pasquale, cl. 1958; SEMONELLA Maria Grazia, cl. 1973; VECCHIARELLO Salvatore, cl. 1976; RUSSO Alberto, cl. 1980.
Divieto di dimora nelle province di Napoli e Caserta: D’ADDIO Silvana, cl. 1973; COPPOLA Ferruccio, cl. 1988.
Quegli gli indagati a piede libero: BENENATI Antonio, cl. 1980; CICIA Lucrezia, cl. 1976; CINOTTI Paolo, cl. 1985; DI LUCCA Maria Antonia, cl. 1939; MIRRA Caterina, cl. 1962; RINALDI Giuseppe, cl. 1974; RIVETTI Pasquale Valerio, cl. 1993; RONDINONE Gianfranco, cl. 1983; SCALINO Virginia, cl. 1983; SPAZIANTE Alberto Francesco, cl. 1975; VENTRIGLIA Domenico cl. 1951 (defunto).