Roma – L’urgano dissidenti perde potenza all’interno del Movimento 5 Stelle. La protesta dei 4 senatori sul decreto Sicurezza resta, ma nella stanza dei bottoni pentastellati non fa più così ‘paura’.
Il provvedimento ha superato lo scoglio della commissione Affari costituzionali del Senato e da lunedì sarà in aula, ma ancora il governo non ha deciso se mettere o meno la fiducia. È probabile che alla fine Salvini e Di Maio optino per il dibattito, tanto ormai è chiaro a tutti che i Cinquestelle , Elena Fattori e Gregorio De Falco quel testo non lo voteranno mai, mentre rimangono i dubbi sulla decisione di Paola Nugnes.
Inutile mettere a rischio la tenuta dell’accordo di maggioranza con un voto che renderebbe troppo evidenti le divisioni interne. Meglio procedere con un iter ‘normale’ e magari racimolare voti anche da un pezzo dell’opposizione, ovvero da Fratelli d’Italia.
Oltretutto, dalla fiducia ‘monca’ i pentastellati ne ricaverebbero un nuovo danno di immagine, dopo i dietrofront sul Tap (il più doloroso) o i condoni inseriti nel decreto Genova (per le case non a norma crollate a Ischia nel 2017, durante il terremoto) e nel dl Fisco.
Storiche battaglie politiche, durante gli anni dell’opposizione a Letta, Renzi e Gentiloni, diventate poi punti decisivi del programma elettorale del marzo scorso, ma che una volta al governo il Movimento non è riuscita a realizzare, scatenando le proteste di un pezzo corposo del proprio elettorato, con conseguente calo dei consensi, registrato da tutti gli ultimi rilevamenti statistici.
E anche se Di Maio e i suoi, in pubblico, giurano e spergiurano di non curarsi dei sondaggi, nel chiuso delle stanze che contano l’allarme è risuonato. Chiaro e tondo.
La natura del Movimento si è modificata, da quando è al governo del Paese
Lo hanno ammesso implicitamente anche il garante, Beppe Grillo, e lo stesso capo politico all’ultima edizione di ‘Italia 5 Stelle’. Sebbene questa inversione di marcia non entusiasmi tutta la base, che già ha dovuto ingoiare il rospo dell’accordo con la Lega, dopo aver ascoltato per anni il mantra ‘noi non ci alleeremo mai con nessuno’.
La formula del ‘contratto’ ha limitato la delusione
Pian piano le incompatibilità con le politiche del Carroccio sono uscite (inevitabilmente) allo scoperto. Alimentando malumori, sia negli elettori che negli eletti.
Infatti, non a caso, tra le dichiarazioni ufficiali che minimizzano le proteste (per Vito Crimi, ad esempio, “il dissenso credo rientrerà”), spuntano anche le parole off the record, che non escludono misure drastiche come la sospensione o, addirittura, l’espulsione dal gruppo.
Si tratta di una soluzione estrema
In caso di voto contrario alle eventuali fiducie, ma rientra nel novero delle possibilità. E non lo escludono nemmeno i diretti interessati Nugnes, De Falco, Fattori e Mantero. Che si spinge a scrivere su Facebook: “Se il mio contributo non sarà più ritenuto utile, se il mio punto di vista sarà visto come un peso invece che come un valore“, allora “sono pronto a fare un passo indietro tornandomene a casa e lasciando posto a qualcuno più allineato o disciplinato“. È il cambiamento dalla protesta al governo, bellezza.