CASERTA – Quando si porta un cognome come Maggiò e si è scritta una pagina di storia sportiva e non solo, con la conquista dello scudetto nel 1991, si scende in campo per un nuovo progetto soltanto se ci sono le giuste condizioni per fare il bene del basket a Caserta. Gianfranco Maggiò, il presidente della Juvecaserta tricolore, figlio dell’indimenticato ed indimenticabile Giovanni e fratello di Ornella, ha deciso di metterci la faccia. Ha deciso di appoggiare in prima persona il progetto di rinascita della pallacanestro a Caserta dopo la mancata iscrizione del 2017 e un anno senza basket. Una scelta certamente coraggiosa.
Cosa l’ha convinta a tornare a fare basket in prima persona accettando il ruolo di presidente onorario della nuova società?
“Sostanzialmente due cose. La prima è che dopo aver lasciato il basket nel gennaio del 2004 nessuno mi aveva chiesto di partecipare alla vita della società. L’altro motivo, ovviamente più importante, riguarda il futuro del PalaMaggiò, a me molto caro. Quest’anno, nel caso in cui non ci fosse stata una squadra di basket, credo che avremmo visto un PalaMaggiò andare in malora. Inoltre voglio contribuire alla rinascita dell’attività sportiva”.
Quale è oggi la situazione del PalaMaggiò?
“La struttura è in mano al Tribunale ed esiste una convenzione con la società ‘Caserta Città del basket’, che è di Raffaele Iavazzi, che ha in gestione l’impianto. Un accordo che si rinnova di anno in anno, anche perché il Tribunale cerca di vendere il palasport. E questo è certamente un aspetto preoccupante, anche perché credo che gli anni d’oro della Juvecaserta sono iniziati col PalaMaggiò e queste due componenti sono inscindibili. Oggi, quindi, ‘Caserta Città del basket’ gestisce l’impianto e ne concede l’utilizzo gratuito allo Sporting Club Juvecaserta. Per questo sono grato a Iavazzi perché è un risparmio non di poco conto. Oggi l’impianto è all’asta per 4,5 milioni di euro. Ovviamente c’è il rischio che possa essere acquistato da un privato, che poi potrà farne ciò che vuole. A mio avviso sarebbe auspicabile che i Comuni della provincia di Caserta, almeno 45, si mettessero insieme e con una spesa di 100mila euro a testa comprassero il PalaMaggiò. Perché è un bene che va tutelato. In passato le amministrazioni provinciali di De Franciscis e Zinzi hanno fatto tanto, nessun segnale invece dalle amministrazioni comunali”.
La squadra sta affrontando il campionato di Serie B, con ambizioni di promozione. Il roster è completo o va ancora migliorato?
“La squadra può competere per la A2 ma certamente gm e coach sapranno muoversi e rafforzare la squadra nel caso in cui dovessero ritenerlo necessario e ci saranno le condizioni economiche. Devo però anche dire che oggi la Serie B è la categoria che più rispecchia Caserta da un punto di vista di interesse imprenditoriale”.
Quindi si attendeva maggiore sostegno da parte degli imprenditori?
“Devo dire di sì, sono rimasto deluso. Innanzitutto però va ringraziata la Decò. Siamo ripartiti da zero e ha deciso di affiancarci in maniera importante, sposando un progetto ed impegnandosi molto economicamente. Rinominare il PalaMaggiò in PalaDecò? Non mi ha dato fastidio. Mi sono state chieste certe cose e io, dopo un rapido consulto con chi è lassù (sorride riferendosi al padre, ndr), ho avuto l’ok. Del resto mio padre era un uomo molto risoluto. Al tempo stesso sentire tanti gridare allo scandalo per la mancata iscrizione fa pensare che ci sia interesse attorno al basket. Invece poi l’imprenditoria casertana, nonostante la nascita di questo progetto, si è subito defilata. E’ vero che Raffaele Iavazzi è dietro a questa società. E’ proprietario delle quote, ma ha deciso di intestarle a Nevola ed è una questione loro. Al tempo stesso posso dire che Iavazzi è sempre intenzionato a vendere. Vorrebbe conservare un 15-20% delle quote perché è un amante del basket e quindi vorrebbe rimanere in società. Invito perciò gli imprenditori interessati a farsi avanti. Alcuni mi dicono che non entrano in società perché c’è Iavazzi, ma mi sembra pretestuoso. E’ normale che se non entrano soci il club resta di Iavazzi. Oggi poi c’è il Club Ornella Maggiò che è un’associazione per raccogliere risorse per la Juvecaserta. A differenza di prima non si prendono i soldi e si danno alla società ma l’obiettivo è quello di acquistare quote. Di certo una società sportiva a Caserta oggi ha bisogno di risorse e di partecipazione. La Decò, ad esempio, non mi ha chiesto se dietro c’era Iavazzi. Mi ha chiesto semplicemente se mi facevo garante del rispetto degli accordi. E io gli ho detto di sì. Io sono il garante di questo progetto”.
La risposta dei tifosi invece c’è stata?
“Assolutamente sì e li ringrazio. Abbiamo chiuso la campagna abbonamenti a quota 731 e abbiamo avuto, nella prima gara casalinga, quasi 2mila persone. Numeri ben diversi da altre realtà di Serie B. Devo ammettere che mi attendevo più imprenditori e meno tifosi, invece è stato il contrario. Speriamo che altri ancora possano sostenerci in futuro, per riuscirci però sappiamo che servono le vittorie. Poi a me piace vincere i campionati piuttosto che acquistare titoli per accedere alla categoria superiore. Per me poi l’emozione è sempre tanta quando vedo giocare la Juvecaserta, sia quando era in A1 e lottavamo per lo scudetto sia oggi in Serie B”.
La squadra dello scudetto era piena di giovani cresciuti in casa, oggi è possibile puntare sul vivaio?
“Mio padre era animato non solo dall’ottenere risultati ma soprattutto da un fine sociale per la comunità, togliere i ragazzi dalle strade. Nel 1994 però la sentenza Bosman ha tolto la proprietà dei cartellini dei giocatori alle società. Questo ha provocato un depauperamento per i club. Il settore giovanile è un marchio di fabbrica, noi oggi abbiamo l’Under 18 e poi c’è l’Academy. In futuro mi piacerebbe che si creasse una sinergia con i tanti centri minibasket del Casertano. Oggi, quindi, rimane il fine sociale del settore giovanile ed è anche un motivo d’orgoglio, ma i club non hanno più quei benefici che c’erano un tempo”.
Quali sono i mali del basket, perché non ‘tira’ più come un tempo?
“A mio avviso la crisi del basket è iniziata nel 1991, quando si decise di passare al professionismo. Una decisione che volevano i colossi dell’epoca: Benetton, Scavolini, Stefanel, Il Messaggero. Società che erano proprietarie e sponsor delle rispettive squadre e che avevano bisogno del professionismo per fini fiscali. Le SpA e le Srl però portarono un aumento esponenziale dei costi. A questo si aggiunse nel 1994 la sentenza Bosman che svuotò le società di patrimonio. All’epoca del fallimento noi avevano un parco giocatori, accertato dal Tribunale, del valore di 22,5 miliardi di lire che nel 1994 si azzerò. In più dovevamo pagare il mutuo per il PalaMaggiò. Per questo proposi al Comune di acquistare l’impianto. La giunta Bulzoni era favorevole, poi però cadde e subentrò Falco che non ne volle sapere. Si interessò Ventre, presidente della Provincia, e venne costituito un apposito Consorzio ma al momento di chiudere non se ne fece più nulla e la Juvecaserta fallì. Oggi non ci sono più imprenditori top e quindi si fa fatica”.
Caserta, Maggiò: “Il palasport è un bene da salvare”
Il presidente onorario della Decò Caserta: “Sinceramente mi aspettavo meno tifosi, ringrazio chi ci sostiene. La struttura è all’asta per 4,5 milioni di euro, se i Comuni casertani si unissero con 100mila euro a testa si eviterebbe il rischio di vendita ai privati. Gli imprenditori? Li invito a investire nella società”