Bruno Garofalo a “Cronache”: “Le canzoni per recuperare le radici di Napoli”

Il regista di “Antologia di Novecento napoletano” in scena al Teatro Cilea

NAPOLI (Angela Garofalo) – Dal 24 al 27 gennaio andrà in scena al Teatro Cilea di Napoli “Antologia di Novecento Napoletano”, con la regia di Bruno Garofalo. Era il 1992 quando lo storico Novecento Napoletano, opera ideata da Lello Scarano e dallo stesso Garofalo fa la sua prima apparizione su un palco. Oltre cento artisti tra musicisti, attori, danzatori e comparse supportate da scenografie, attrezzi e costumi che danno vita ad una sequenza interrotta di ‘quadri’, grazie ai quali, si aprono scorci e  archi temporali che hanno reso l’epoca di riferimento, il cosiddetto ‘secolo d’Oro’ immortale. Lo spettacolo dedicato alla canzone d’autore napoletana, ormai rientra a pieno titolo nella prestigiosa e letterata tradizione della canzone classica napoletana eseguita nella sua filologia più accurata. In quasi trent’anni di vita, ha solcato i pachi di mezzo mondo: da Napoli, passando per Roma, Milano, Genova fino a Parigi, Zurigo, Buenos Aires, e Giappone con ben sedici tappe. Tra pause, riprese e riadattamenti arriva al Cilea in questi giorni con un cast di professionisti collaudati. Protagonista l’attore dall’aura retrò, profondo conoscitore del patrimonio artistico napoletano e dotato di una presenza scenica come pochi altri: Gennaro Cannavacciuolo. A capo di un folto numero di artisti, diretti da Bruno Garofalo, trascinerà gli spettatori in un viaggio temporale. Meta un mondo dimenticato, la Napoli che fu, culla di sentimenti, radici ed estro partenopeo che ha gemmato testi immortali. Racconta a Cronache “Antologia di Novecento Napoletano”.

Immagini di avere davanti a sé una platea di ventenni. Alla domanda cos’è Novecento Napoletano: come lo spiegherebbe?

Innanzitutto chiederei loro che musica ascoltano, non ci sono confini tra la buona musica, qualunque essa sia. Alla base c’è cultura e studio, e mai come in questo campo, senza guardare alle origini, senza avere nozione della tradizione, sarebbe difficile comprenderla a fondo ed ancor di più eseguirla. Come diceva il grande Eduardo, la tradizione è la passerella dalla quale con un salto si può arrivare in alto, poi, padroni di darle un calcio. Ma solo dopo.

Nelle note di regia, lei scrive: “Siamo partiti dalla ricerca di una corretta interpretazione canora scevra da lamentosità e gorgheggi nasali malamente arabeggianti e vibrati ghirigori vocali senza alcun nesso con la tradizione”. Una carenza linguistica e storica alla quale non può più sottrarsi?

Nessuno può sottrarsi al progresso e al divenire dei tempi e della storia. Nel bene e nel male. Alla base della canzone napoletana d’autore c’è il linguaggio poetico, ma la lingua napoletana quasi non esiste più, un blaterare approssimativo, sbrigativo nato tra la gente di quartieri senza storia sono diventati lo slang giovanile che possiamo ritrovare anche in opere più o meno letterarie, o nei film gomorroidi, che diventano guida e modello comportamentale. Non è un problema, il mondo cambia, ma l’epoca dei poeti romantici è finita, e con essa la capacità di esprimersi con quel forbito linguaggio. Mettere in fila parole nuove o reinventate, cadenze imbastardite e sciatte può andar bene per il Rap, ma molto meno per la poesia. Quanto all’interpretazione, purtroppo lo dobbiamo a pochi, cattivi maestri, le cui orme sono state seguite in peggio sino ad arrivare a certe insensibili storpiature semplicisticamente definite “neomelodiche” che di melodico non hanno nemmeno il ricordo.

“Antologia” in cosa sarà diverso da “Novecento napoletano”?

Nella sua lunga storia Novecento ha assemblato un’infinità di quadri composti da centinaia di canzoni, note e meno note, in questa edizione sono recuperati i quadri che ritengo siano stati i più significativi.

Lo sfoltisce nel linguaggio attualizzandolo o, rimane fedele a quello originale?

I dialoghi sono stati essenzializzati e sfrondati per lasciare più spazio alle messe in scena musicali, nucleo dello spettacolo, pur nel rispetto dei tempi che oggi in teatro non possono superare le due ore di spettacolo.

È solito nel suo lavoro circondarsi di collaboratori collaudati e fidati, chi l’affiancherà stavolta?

Collaboratori fidati e con i quali non sono necessarie troppe parole. Colleghi dei quali mi fido ciecamente, ma questo non esclude una graduale acquisizione di forze fresche e giovani, che sono la linfa dell’entusiasmo in scena e futuri continuatori dell’arte Teatrale.

Sul palco protagonista Gennaro Cannavacciuolo: allure, sofisticatezza e talento. Perché lei lo ha scelto?

Semplicemente perché è un artista autentico esempio di quello già detto. Un contemporaneo a volte innovatore, ma che ha un bagaglio legato alla tradizione che lo rende credibile e attendibile. Un esempio meraviglioso per tanti giovani artisti.

Da quanti anni non veniva riproposto Novecento e cosa ha mai rielaborato nelle varie edizioni?

L’anno scorso ha avuto una settimana di vita, ma per una serie di contingenze ha dovuto fermarsi. Questa edizione nasce con l’intento di una continuità che lo porterà di nuovo a calcare palcoscenici esteri, dove d’altronde quasi trent’anni fa, nella prima edizione, ha riscosso quanto è più apprezzamento che non abbia già riscosso in Italia. Questo, ci ha spinto quindi ad una selezione dei momenti più coinvolgenti tratti dalle varie edizioni.

Lei ha avuto la fortuna e il privilegio di essere allievo di Eduardo De Filippo, affiancandolo in 14 allestimenti. Quale consegna o testamento artistico le ha lasciato?

Devo risalire alla prima domanda ed alla prima risposta. Il suo insegnamento e la sua eredità più grande, consiste in quel rispetto per la tradizione che ha permesso a tanti di noi di progredire anche nella contemporaneità, ed a questo si lega, il rispetto di un ‘mestiere’ che vive di rigore, studio, serietà, passione.

La sua biografia racconta un mondo e un’artisticità che inizia a mancare in favore di un ‘bastevole’ livello artistico. Mancano maestri, fondi o cultura?

Manca la ‘bottega’ dove tutti, della mia generazione bene o male ci siamo formati. Quello che vale in teatro non è la teoria, o una sia pure ottima lezione. Il Teatro lo si impara giorno dopo giorno osservando i maestri, affiancandoli, rubando tutto il possibile anche da un semplice gesto. Oggi una Compagnia teatrale ha vita sempre più breve, a volte si conclude in una settimana di repliche, oggi purtroppo la cultura è stata ridotta male. Di fondi nemmeno a parlarne, ed i gestori teatrali pretendono spettacoli leggeri, economici e che ‘non facciano pensare troppo’. Purtroppo questo, nel nostro sud, è stato preso alla lettera. Un giovane quindicenne o sedicenne non ha mai visto a Napoli un’opera di prosa classica, ignorano Shakespeare, Pirandello, Ibsen o Brecht. Se vogliono, per farlo devono prendere un treno e superare Roma. A volte le Alpi. Questo è molto triste, ma è il ‘cambiamento’ e ce lo siamo meritato tutti, purtroppo.

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