NAPOLI – E’ chiaro, ormai, che all’interno del Movimento 5 Stelle albergano diverse anime, e tenerle a bada tutte è diventato complicato per il capo politico e vicepremier Luigi Di Maio. Soprattutto quando è costretto a chiedere ai suoi di appoggiare proposte e misure che cozzano con lo spirito originario del Movimento stesso. Lo scontro interno, benché i pentastellati ne neghino l’esistenza, non è più tra gli ortodossi di Roberto Fico – divenuti, in alcuni casi, dissidenti – e i ‘seguaci’ di Di Maio, ma riguarda chi non riesce a celare il proprio malcontento rispetto alle decisioni imposte. Il capro espiatorio, allora, diventa la Lega, che da alleato è diventato opposizione: una situazione esplosiva che rischia di far deflagrare il governo. L’ultimo parlamentare, in ordine di tempo, ad aver sbottato è la deputata Rina Valeria De Lorenzo: ieri con un post al vetriolo se l’è presa sia col ministro leghista Bussetti, reo di aver offeso gli insegnanti del Sud, sia con i suoi, che sostengono una riforma, quella del regionalismo differenziato, che penalizza chiaramente il Mezzogiorno.
Onorevole, una critica alla volta. Ha fortemente stigmatizzato le dichiarazione del ministro Bussetti sulla scuola. Eppure da un leghista doc c’era da aspettarselo. Non trova che la sua indignazione, e quella di altri grillini, sia tardiva e inopportuna visto che siete forza di maggioranza e non di opposizione?
In politica le critiche aprono al confronto, che diventa irrinunciabile quando si parla del sistema di istruzione pubblica nazionale. Auspico che il ministro riveda le sue posizioni perché le scuole al sud hanno bisogno dell’impegno di tutte le forze di governo e di opposizione per garantire la stessa offerta formativa senza diseguaglianze territoriali. Un’uscita infelice che offende migliaia di docenti. Ma a preoccupare è il riferimento mal celato al progetto di autonomia differenziata del nord che investe in pieno il sistema di istruzione e formazione del nostro Paese.
Ecco, e così passiamo alla seconda critica. La sua posizione sul regionalismo differenziato diverge totalmente rispetto alla linea del governo che si appresta a concedere l’autonomia a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna…
Sul tema delle autonomie la linea è stata fissata dal precedente governo Gentiloni che a pochi giorni dal voto del 4 marzo firmò una preintesa con la regione Veneto per il riconoscimento di maggiore autonomia nei settori della sanità, dell’istruzione, dell’ambiente, delle politiche del lavoro. La mia posizione è di rispetto dei principi costituzionali di unità e indivisibilità del nostro Stato repubblicano. Nessuna forma di autonomia che che si ponga fuori dal perimetro costituzionale può essere spacciata per applicazione dell’articolo. 116 della Costituzione. Solo la definizione dei livelli essenziali di prestazione dei diritti civili e sociali potrà restituire al Mezzogiorno d’Italia ciò che da decenni viene negato da politiche fallimentari realizzate anche mediante la Cassa del Mezzogiorno divenuta da strumento di promozione di iniziative in uno strumento di erogazione di sussidi utili all’istituzione di rapporti clientelari e affaristici fra il ceto politico e la società civile.
In che modo si regolerà in Parlamento?
La Costituzione all’articolo 116 dispone che “la legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Il mio auspicio è che si possa aprire un ampio dibattito parlamentare partendo dal testo dell’intesa per integrarla e renderla aderente alla Carta. La procedura rafforzata prevista all’articolo 8 della Costituzione per le intese tra Stato e confessioni religiose, richiamata da Zaia per invocare un percorso che di fatto esautora il Parlamento, non può trovare applicazione. La libertá di organizzarsi delle confessioni religiose è ben altra cosa rispetto all’autonomia rafforzata delle regioni. Non si confonda la religione con la regione.
Il voto in Abruzzo ha determinato una sonora batosta per il Movimento, che perde più dell’uno per cento rispetto alle Regionali del 2014 e più del 20% rispetto alle Politiche. Cosa sta succedendo? Pensa sia necessario un mea culpa?
La riflessione è sempre doverosa all’esito di ogni risultato elettorale. Bisogna ripartire dai percorsi virtuosi che hanno determinato il consenso fino ad oggi e continuare a raccontare i risultati ottenuti in questi 8 mesi di governo. Dobbiamo tornare a parlare di nostri temi, dall’ambiente alla giustizia, per realizzare una vera rivoluzione politico-culturale evitando di cadere nell’errore di liquidare il voto come “marginale” e ininfluente rispetto alla politica nazionale.
La verità è che Lega cresce e voi indietreggiate perfino sui vostri cavalli di battaglia. Non crede che il Movimento, cambiando idea ogni giorno, rischi di diventare una caricatura di se stesso?
La maggior parte dei provvedimenti oggetto di iter legislativo parlamentare portano la firma del M5S: dal decreto dignità alla legge anticorruzione, dalla disciplina sulle semplificazioni amministrative fino al reddito di cittadinanza e quota 100, dallo stop alle delocalizzazioni al divieto di pubblicità del gioco d’azzardo. Nessun cambio di rotta, ma coerenza e rispetto dei principi originari.
Eppure non c’è giornata in cui senatori o deputati pentastellato come lei non si dissocino da alcuni provvedimenti previsti dal vostro governo. Il Movimento è meno compatto?
Il Movimento è una realtà democratica in cui il confronto rappresenta un elemento imprescindibile per ricercare le soluzioni migliori. Non c’è mai dissociazione quando si richiamano principi costituzionali che vincolano tutti i parlamentari, indipendentemente dagli schieramenti.
Intanto anche in politica estera è stato fatto un passo falso, con i gilet gialli che hanno chiuso la porta in faccia a Di Maio. Come vi muoverete adesso in vista delle Europee?
Un movimento come il nostro, che nasce dall’attivismo della base, guarda sempre con attenzione e curiosità a nuove forme di protesta le cui motivazioni sono legate alla rivendicazione dei diritti salariali, il diritto alla casa, ad un ambiente sano per il benessere dei cittadini. Pur prendendo le distanze dagli episodi violenti nelle vie dalla capitale francese, continueremo ad osservare un movimento di protesta, di ribellione, di manifestazione di un pensiero diverso che può trovare espressione nelle sedi istituzionali attraverso percorsi democratici. Al di là dei gilet gialli, abbiamo un’idea chiara di Europa che spiegheremo in campagna elettorale e che ci porterà ad avere maggiore peso rispetto al passato a Bruxelles.