Non si incontravano da anni, divisi da latitanze e arresti. A riunire parte della famiglia, ieri mattina, ci ha pensato il tribunale di Santa Maria Capua Vetere: Luigi Schiavone in aula, seduto al fianco dei suoi legali, Pasquale Diana e Ferdinando Letizia, in videocollegamento dal carcere di L’Aquila, invece, il padre, Francesco Schiavone Cicciariello, e da località protetta Nicola Schiavone.
Il figlio di Sandokan ha testimoniato nel processo a carico del cugino e dello zio, accusati di intestazione fittizia di beni aggravata dalla finalità mafiosa. Il collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande del pm Graziella Arlomede, ha tracciato il profilo dei suoi familiari. “Luigi (l’imputato, ndr.) era legato alla madre. Dopo l’arresto del padre nel 2004, si rifiutò di assecondare la sua richiesta di portare a colloquio la sua compagna rumena, la donna con cui fu tratto in arresto”.
A differenza del fratello Paolo, stando a quanto riferito dal pentito, si sarebbe occupato soprattutto dell’azienda bufalina di famiglia. “Fu acquistata fra il 2002 e il 2004 da Peppe Misso da mio zio Francesco”. Nicola Schiavone visitò quella struttura soltanto una volta. “Fu in occasione dell’organizzazione di un omicidio per verificare se fosse possibile usarla come ricovero delle macchine da adoperare nel raid”. Ma poi venne scelto un altro posto. A casa del cugino, invece, ci andò per parlargli della ‘mesata’ del clan che versava alla zia: “Lo stipendio (destinato a Cicciariello, ndr.), era di 7mila e 500 euro”. Ma la donna “trovava sempre un pretesto per lamentarsi”.
“Luigi – ha continuato il collaboratore – abitava in una villetta costruita su un terreno che gli aveva donato il nonno materno”. Rispondendo alle domande del pm ha ricordato anche di un sequestro di soldi in contanti che aveva subito l’imputato. “Per una mia leggerezza simile – ha commentato in aula – ci furono arresti e indagini. Già gli avevo detto che non doveva tenere tanti liquidi a casa. Così gli chiesi il perché di quel denaro nella sua abitazione. Sbagliare è umano, perseverare era da stupidi. Mi fu detto che i soldi servivano per l’acquisto di alcuni animali”.
Il primogenito di Sandokan ha menzionato anche un ipotetico affare immobiliare condotto dallo zio. “Aveva intestato al consuocero, padre della moglie di Luigi, e ad alcuni parenti varie abitazioni riferibili, invece, alla famiglia Schiavone. Qualcuna era stata data in fitto agli americani di stanza alla Nato”.
Il pentito ha fatto riferimento ad una lottizzazione “fatta da Nicola Bianco” avvenuta a Casal di Principe, per la realizzazione di alcune villette. “Mio zio le costruì insieme a Vincenzo Schiavone detto Petillo”.
Se Paolo Schiavone (non imputato), stando a quanto sostenuto dal teste, si sarebbe occupato negli anni di gestire gli affari non leciti ‘ereditati’ dal padre, Luigi avrebbe avuto uno stile di vita differente. “Paolo viveva di notte e dormiva di giorno. Luigi era casa e lavoro”.
Concluso l’interrogatorio di Nicola Schiavone ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee lo zio Francesco.
“Non ho mai parlato con lui – ha sostenuto il boss con tono seccato. – Fin quando sono stato libero non si occupava del clan. Ai miei figli ho sempre detto di tenersi fuori dalla malavita. Quando ero a Francoforte chi si occupava della mia latitanza mi disse che era in città il figlio di Sandokan. Comunicai loro di mettersi a sua disposizione, ma di non dire che ero lì. Non so chi gli abbia raccontato di quegli affari. Io ho sempre lavorato e mi occupavo della terra, non mi interessavano i soldi”.
Schiavone contro Schiavone. Un film già visto. E’ già successo che un esponente della ‘famiglia’ fondatrice del clan post-bardelliniano accusasse i suoi congiunti. Sono cambiati i personaggi: a vestire i panni del pentito non c’è più Carmine (scomparso due anni fa), il cugino del capoclan, ma Nicola. Ad incassare le accuse non c’è più soltanto Cicciariello, ma pure il figlio Luigi. Il processo riprenderà a marzo dinanzi al collegio presieduto dal giudice Luciana Crisci.