ROMA – Marcello De Vito agì “barattando il suo ruolo, operando in maniera tale da funzionalizzare i propri poteri agli interessi dei privati. Dunque mostrando una elevata capacità di incidere ed indirizzare gli atti espressione di uffici formalmente diversi dal proprio”. È quanto scrive il Tribunale del riesame di Roma nelle motivazioni con cui respinge l’istanza di scarcerazione arrivata dalla difesa dell’ex presidente dell’Assemblea capitolina.
La decisione
“Il collegio ritiene che i rapporti tra il soggetto pubblico da un lato schermati dalle prestazioni professionali a Mezzacapo e i privati dall’altro, costituiti dai gruppi imprenditoriali Parnasi, Toti e Statuto debbano essere ricondotti nell’ambito della più grave figura della corruzione propria. – Dunque non potendo integrarsi ne’ la pur grave fattispecie di corruzione impropria, nè del traffico di influenze illecite apparendo chiara la natura paritaria del rapporto esistente fra il privato e il pubblico ufficiale”. “Risulta evidente – aggiunge il collegio – che il De Vito ha attivato ed agito proprio sulla scorta dei propri poteri e della propria funzione istituzionale. Così intervenendo direttamente sugli assessori ed i relativi funzionari amministrativi”.
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