L’Italia è un paese dove la maggioranza dei cittadini diffida (e parla male) della propria classe politica, pur avendola eletta. Parimenti suscita apprensione ogni gesto che si sottragga alla prassi delle procedure – lunghe e farraginose – imposte dalla Carta Costituzionale, per l’ipotesi prevista del cambio del governo ed ancor di più, per lo scioglimento delle Camere. Il cosiddetto “popolo sovrano” gode della scarsa considerazione degli addetti ai lavori, nella stessa identica misura in cui diffida della politica politicante.
Sarà forse per tali atavici e spesso ricorrenti motivi, che l’accelerazione delle liturgie politiche richieste da un leader, desta sempre preoccupazione e sembra addirittura minacciare i cardini della democrazia parlamentare. Ogni gesto netto e risoluto viene scambiato, ad arte, come un gesto potenzialmente eversivo, col conseguente richiamo al temuto Fascismo. Gli animi di molti intellettuali, specie di sinistra, si agitano e dalle loro penne acuminate viene fuori un profluvio di congetture e di previsioni catastrofiche per le sorti della Nazione.
In casi del genere il politico di turno, specie se è di Destra, viene bollato come un potenziale usurpatore che vuole accaparrarsi il potere utilizzando scorciatoie, imponendo la propria visione delle vicende politiche e dei tempi di svolgimento e di risoluzione della crisi parlamentare. Se poi quel leader ha comportamenti rudi e spiccioli, magari poco intellettuali, e parla alla pancia della gente volando nei sondaggi di opinione, ecco allora apparirne evidenti tutte le inclinazioni dittatoriali. Diciamolo fuor di metafora: populista e qualunquista quanto si voglia, non si può scambiare un Truce con un Duce, né sembrano somigliare alle quadrate legioni di avanguardisti, le folle scalmanate che danzano sulle battigie di mezza Italia intorno al nuovo condottiero leghista.
Ovviamente la gente è più smaliziata di quanto credano i “maître a penser” che si affannano a scrivere lunghe e pensose osservazioni arrivando a rievocare il fantasma di Mussolini. Esagerazioni a parte, a ben vedere si tratta di un copione già visto nel dopoguerra in Italia: l’instaurarsi di un sistema di allarmi e di delegittimazioni verso il presunto “uomo forte”. Ogni parola, ogni gesto viene soppesato ed utilizzato per discreditarlo. I sondaggi però poco si accorgono (ed ancor di meno si fanno influenzare) di questo fuoco di sbarramento mediatico, ed a quanto pare, le previsioni sono più che rosee e potrebbero garantire alla Lega di Salvini addirittura un vasto consenso, oltre la soglia del 40 per cento. Un dato che, se confermato, assegnerebbe, legge elettorale alla mano, ben due terzi dei seggi di Camera e Senato al Carroccio (ed ai suoi alleati). Un margine di maggioranza mai riscontrato finora nella storia delle elezioni politiche della seconda Repubblica, tale da consentire l’attuazione di riforme di sistema (scuola, giustizia, Costituzione, autonomie locali) senza il successivo vincolo del referendum popolare confermativo. Una previsione che spaventa a morte talune categorie di intellettuali e giornalisti da sempre organici ai partiti di sinistra.
Da qui il gran trambusto del “Fascismo alle porte”. Si tratta però di un altro insperato favore fatto al segretario del partito di via Bellerio. Peggio ancora se a Salvini si facesse il regalo di costituire un “governicchio” balneare a vario titolo motivato con sembianze tecniche o politiche che siano, in previsione della Legge di Bilancio, che si prevede essere fatta di lacrime e sangue. In questo caso si toglierebbero alla Lega le castagne dal fuoco dei debiti assunti con l’UE e dal Governo e nello stesso tempo si proseguirebbe con un piccolo patto del “Nazareno” fatto da piddini, fuoriusciti di FI e del M5S. Insomma si tratterebbe di un esecutivo “pastrocchio”, come quello uscente, fatto da forze politiche presentatisi antagoniste alle urne.
E qui sta il vero punto: è indispensabile rilanciare la stagione delle riforme come fu con Mariotto Segni negli ultimi anni del’900. Ribadire che il maggioritario aggrega e determina maggioranze di governo omogenee, votate dagli elettori insieme al loro leader ed al loro programma. Se resterà il proporzionale e quindi l’esaltazione delle singole identità partitiche, poco o niente potrà cambiare ed i governi saranno il frutto di intese post elettorali e di sotterfugi politici. Se governicchio dovrà essere per fregare Salvini e la sua smania delle urne, meglio farlo per varare una legge elettorale maggioritaria, a collegi uninominali piccoli di dimensioni ed a turno unico. Fatti i conti, la partita si giocherà in casa Pd con i gruppi parlamentari, oggi in mano a Renzi e domani in mano al segretario Zingaretti che deciderà e detterà le candidature. Se prevarrà il piccolo calcolo di regolare i conti interni ai dem, Matteo Renzi perderà l’ultimo treno e si dimostrerà ancora una volta un leader senza visione e senza coraggio. Insomma, più che il pericolo della “marcia” c’è il solito pericolo del…”marcio su Roma”.