Nel giorno dell’atteso discorso di Jerome Powell al simposio di Jackson Hole, che si è però trasformato soprattutto nel giorno della dura risposta cinese ai nuovi dazi messi in cantiere dagli Stati Unti, il livello dello scontro tra Casa Bianca e Federal Reserve tocca livelli mai raggiunti prima. “La mia unica domanda è, chi è il nostro maggiore nemico, Jay Powell o il presidente Xi?”, twitta un furibondo Donald Trump poco dopo la diffusione del testo dell’intervento, accusando la Fed di non aver fatto nulla “come al solito” e di “parlare senza sapere o chiedere quello che sto facendo, che sarà annunciato a breve”. Le parole del numero uno della banca centrale statunitense, va detto, non sono sembrate così incendiarie. Davanti alla platea dell’evento annuale organizzato dalla Federal Reserve di Kansas City, Powell ha spiegato che la sfida è quella riuscire a sostenere l’espansione dell’economia americana in modo che il mercato del lavoro possa beneficiarne, evidenziando come il grande problema di questa fase storica sembri essere soprattutto la bassa inflazione. D’altra parte, nessuna indicazione è arrivata riguardo a un ulteriore taglio dei tassi in settembre, dopo quello di luglio. Mentre il governatore si è soffermato – e non è la prima volta – sul fatto che non esista un “manuale delle regole” da seguire per rispondere con le politiche monetarie alle incertezze legate alla situazione commerciale.
Una situazione che, appunto, ha toccato in giornata nuovi picchi di tensione, con Pechino che ha annunciato dazi tra il 5% e il 10% su prodotti statunitensi per 75 miliardi di dollari di prodotti statunitensi in arrivo il 1° settembre e il 15 dicembre. Oltre al ripristino delle imposizioni al 25% sulle automobili “made in Usa” e del 5% sui componenti auto che erano state revocate nei mesi scorsi come segno di buona volontà nell’ambito dei negoziati con Washington, anche questo da metà dicembre. Date non casuali: sono quelle in cui scatteranno le misure promesse proprio da Trump, che anche in questo caso ha scelto Twitter per controbattere a stretto giro. “Non abbiamo bisogno della Cina e, francamente, andrebbe molto meglio senza di loro”, la piccata risposta del presidente, che ha ordinato alle aziende statunitensi di “iniziare a cercare un alternativa” ai rapporti con la superpotenza asiatica, pensando eventualmente al ritorno della produzione in terra nordamericana. La controffensiva della Casa Bianca non dovrebbe si è comunque fermata qui. A Borse chiuse – e con il Dow Jones che aveva orma lasciato sul terreno oltre due punti percentuali – sempre via social network è arrivato l’annuncio: i dazi del 25% già applicati su beni cinesi per 250 miliardi di dollari saliranno a ottobre del 30%, mentre passa dal 10% al 15% l’imposizione che scatterà dal 1° settembre su prodotti per altri 300 miliardi di dollari. “Nello spirito di raggiungere un commercio equo – chiosa Trump – dobbiamo bilanciare questa relazione commerciale molto iniqua”.
Marco Valsecchi (AWE/LaPresse)