Che Matteo Renzi da Rignano, “enfant prodige” della politica italiana, tutto genio e sregolatezza, sia uno svelto di pensiero ed ancora più svelto d’azione, è cosa ben nota. Che l’ex sindaco di Firenze sia (anche) molte altre “cose” ancora, forse non tutti lo sanno. Ebbene sì! Il fondatore di Italia Viva è uno di quelli che va declinato col superlativo assoluto: ambizioso, supponente e saccente (fino a diventare antipatico anche ai parenti), parolaio contorsionista (fino al punto di smentire se stesso con una velocità che rasenta quella della luce).
Una cosa però va detta. A scanso di equivoci. In un’epoca in cui, soprattutto in politica, prevalgono l’ignoranza, la mediocrità della conoscenza e della capacità, l’ex segretario del Pd rimane uno dei pochi capaci di portarsi dietro un bagaglio di buone letture e di ottima pratica di amministratore. Questo gli va riconosciuto. Per dirla con una vecchia perifrasi del ventennio fascista, il buon Matteo è tutto “libretto e moschetto”. Tuttavia il toscano non è un Napoleone Bonaparte, ancorché ne sia convinto come tutti i cavalli di razza che pascolano in mezzo agli asini, se non per aver provato, come il famoso eroe corso, “la reggia e il tristo esilio”. O se preferite, “due volte nella polvere, due volte sull’altar”, come ebbe a dire Manzoni nel “5 Maggio”. Raramente una carriera politica è stata più fulminea e meno duratura della sua. Pensate: in un lustro ha strappato il Pd alla vecchia nomenclatura degli ex comunisti recitando un ruolo da protagonista, da vero leader senza interpretare la parte dell’utile idiota come era accaduto agli altri pseudo segretari, provenienti dal mondo cattolico e moderato, che lo avevano preceduto. Nello stesso lasso di tempo è stato in grado di assurgere alla carica di premier senza essere parlamentare, fino a raggiungere il 40 per cento dei voti alle elezioni europee del 2014. Poi, intossicato dal fumo dei grani d’incenso accesi ai suoi piedi, il buon Renzi ha iniziato a sbagliare una mossa dopo l’altra, fino a perdere sia la segreteria del Nazareno, sia le elezioni politiche.
La vera cecità, tuttavia, fu quella di non aver saputo, oppure voluto, prendere in mano le sorti dei riformisti italiani e colmare così il buco creatosi al centro dello schieramento politico italiano per formare un grande partito capace di dare voce e rappresentanza ai tanti astensionisti ed alle truppe berlusconiane ormai in ordine sparso e senza altra meta che confluire nelle file del partito di Salvini. Rimasto in minoranza nel Pd, ma con un folto numero di fedelissimi, ha salvato la poltrona a Giuseppe Conte favorendo la saldatura tra il M5S ed il Pd di Zingaretti rilanciandone le sorti che, in quel momento, erano elettoralmente vacillanti. Con questa mossa, Renzi ha evitato le elezioni anticipate mantenendo il governo in sella ed scongiurando così il rischio di doversi misurare col consenso delle urne. Alla fine, altro colpo di scena, è uscito dal Pd per fondare un nuovo partito: Italia Viva. Ma lo ha fatto con anni di ritardo, pagando lo scotto di doversi separare da vecchi amici come Lotti e Guerini e da una buona parte del suo antico gruppo parlamentare che ha preferito, invece, rimanere fedele alla causa del Pd.
Con un esiguo manipolo di parlamentari, Renzi è arrivato lì dove sarebbe dovuto approdare anni prima, nelle vesti di “uomo nuovo” della politica italiana. Ora però sta cominciando nuovamente a mostrarsi irrequieto, destabilizzando un esecutivo, il Conte bis, già di per se stesso impantanato dalle contraddizioni di fondo che hanno animato e ancora animano quanti lo hanno reso possibile firmando un patto di governo (giallorosso) sulle ceneri di quello precedente (gialloverde). In tutto questo, sullo sfondo, prova ad agitarsi un Parlamento che si riunisce solo sporadicamente perché, di fatto, non ha nulla su cui dover deliberare. Insomma, volendo tirare le somme: Renzi oggi sta facendo la voce grossa forse perché, lo si sussurra nei corridoi del Palazzo avrebbe stretto un accordo “sotto banco” con il segretario del Carroccio per andare alle elezioni anticipate, garantendosi un patto di desistenza nei collegi con la Lega (ed una trentina di parlamentari). Sta tentando, in tal modo, di impedire a Conte di farsi quel partito di centro moderato che egli avrebbe dovuto fare in passato. Certo oggi sono anguste visuali le sue: scampoli di politica politicante che consentono all’ex rottamatore di lanciare solo penultimatum.