Commesse maltrattate dal proprio ‘capo’ con delle regole assurde

Costrette a stare in piedi per ore a causa dell'assenza di una sedia in negozio. Proibito portare l'acqua da casa. Vietato parlare con i colleghi, anche in assenza di clienti

Foto LaPresse/Tiziano Manzoni 19/12/2017 Bergamo - ITALIA cronaca Istallazione protezioni vetrine Boutique Tiziana Fausti, derubata due volte in sei mesi

ROMA – Costrette a stare in piedi per ore a causa dell’assenza di una sedia in negozio. Proibito portare l’acqua da casa. Vietato parlare con i colleghi, anche in assenza di clienti. E’ l’elenco delle regole che un noto imprenditore Romano – a capo di una catena di negozi tra i più noti nella Capitale, uno dei quali in via Borgognona – avrebbe imposto alle sue dipendenti come sostiene la procura che ha chiesto la condanna dell’imprenditore a un anno e otto mesi di reclusione con l’accusa di maltrattamenti. Come scritto nel capo d’imputazione, il noto rivenditore di abbigliamento di grandi griffe italiane, avrebbe ‘cagionato penose condizioni di vita’ alle lavoratrici. “Quanto riportato dal Corriere della Sera non ci sorprende affatto – dichiara Francesco Iacovone, del Cobas nazionale – le condizioni di violenza e di degrado vissute dalle lavoratrici del commercio sono all’ordine del giorno e più diffuse di quanto si possa credere. E sono anni che le denunciamo inascoltati”.

“Alcune commesse ci hanno raccontato di essere costrette finanche a fare i propri bisogni corporali dentro un secchio in magazzino – prosegue il rappresentante sindacale – molte donne del commercio hanno dichiarato di aver perso il lavoro a causa di una gravidanza, e la lettera di dimissioni in bianco è la modalità più diffusa con cui le leggi a tutela della madre lavoratrice vengono aggirate. Molte altre lamentano di subire molestie e atteggiamenti vessatori da parte dei “capi”, che spesso sono maschi”. “Siamo fiduciosi nella giustizia e attendiamo la sentenza prevista per il prossimo 13 maggio, ma certamente questa sarebbe soltanto la punta di un iceberg sommerso sul quale c’è l’obbligo morale e civile di fare luce”, conclude Iacovone.

(LaPresse)

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