Sono ormai molti i commenti sulla vicenda afghana, quasi tutti preoccupati e concordi sui riflessi internazionali che la presa di Kabul, da parte dei talebani, determinerà. In disparte le preoccupazioni sulla brutalità di un regime che mira ad instaurare la legge coranica, la sharia, con tutto il carico di incognite sulla condizione femminile. Un ritorno al medio evo di un regime teocratico naturalmente incline ad appoggiare il terrorismo islamico. Comunque sia converrà allargare l’orizzonte delle riflessioni. In particolare, ragionare, a freddo, sui cambiamenti indotti, a livello internazionale, dal disimpegno militare statunitense e dei paesi europei impegnati in quella martoriata regione. Cambiamenti degli assetti geopolitici ed economici innanzitutto, in seguito all’avvento della Cina in quella parte del mondo, nel ruolo di nuovo “guardiana”. Una potenza, quella di Pechino, corroborata non solo dalla preponderanza delle forze armate quanto dal primato raggiunto in campo economico e finanziario. È ormai noto che il paese della “Grande Muraglia” è diventato quello con la maggior produzione di generi di consumo sulla faccia della Terra: una ricchezza, la loro, che ha consentito ai cinesi di fare incetta del debito pubblico di numerose nazioni finanziatesi con la vendita dei propri titoli di Stato. Una condizione che rende molti Stati sensibili alla volontà cinese che pare abbia in portafoglio anche buona parte del debito pubblico americano. Si aggiunga che il regime politico, detentore di questi ingenti crediti, è di tipo totalitario, guidato con mano ferrea dal partito comunista, ma con un’economia di mercato di tipo capitalistico, e il gioco è fatto. Insomma: siamo in presenza di una vera e propria mitologica chimera, che unisce il regime politico comunista al liberismo economico più sfrenato.
Per dirla con altre parole: benessere economico senza diritti né libertà civili e politiche. Senza forze democratiche centrali ed intermedie, senza sindacati e senza una libera stampa, i cinesi sono in grado di gestire cicli produttivi intensivi con costi di produzione molto più bassi, in quanto depurati da quelli provenienti dall’orario di lavoro, dalla sicurezza e dalla libera contrattazione dei salari. Una produzione agevolata ulteriormente dalla mancanza di limiti e regole sullo sfruttamento intensivo delle materie prime e della salvaguardia dell’ambiente, che fa della Cina il paese più inquinato ed inquinante al mondo. Se questo è il modello di organizzazione sociale che i nuovi “guardiani” si portano appresso c’è da giurare sul fatto che lo useranno come dagherrotipo in tutte le nazioni ove avranno la necessaria influenza. Una visione antitetica a quella europea, una Weltanschauung (visione del mondo) del tutto inaccettabile per tutti i regimi liberali dell’Occidente. È questo il vero pericolo che l’Europa corre. Non sarà facile dialogare con chi è forte economicamente e può fare affidamento su un esercito agguerrito; né sarà semplice competere con chi sfrutta un regime illiberale come governo della nazione. L’Europa potrebbe andare in affanno in ragione del fatto che l’etica protestante e lo spirito del capitalismo sono stati fattori culturali determinanti nel vecchio continente. Tanto determinanti da orientare l’organizzazione sociale e del lavoro, condizionare la legislazione verso forme di tutela della libertà e dei diritti dei lavoratori.
Insomma, una visione del mondo e della società aperta, completamente diversa da quella che i nuovi tutori del mondo declinano. Altro fattore che peserà sarà la nuova realtà scaturita dal disimpegno americano e dalla perdita delle antiche sicurezze garantite dell’ombrello offerto dalla politica estera a “stelle e strisce”. Quanto all’Italia, paese manifatturiero con un industria gravata dai costi del lavoro, dall’esoso regime fiscale, dal pan-sindacalismo, dalla burocrazia bolsa, inefficiente, anonima ed irresponsabile, da un sistema giudiziario con tempi biblici, dal ristretto, farraginoso e limitato accesso al credito, sarà particolarmente dura. L’impressione è che deboli e disorganizzati come siamo, nel Belpaese non saranno poche le vicissitudini da affrontare. Resta in ultimo, ma non per ultimo, il dato politico. Il sistema istituzionale e se vogliamo la stessa nostra carta costituzionale, ormai settantenne: lenti, complessi e indeterminati gangli decisionali che assillano lo Stivale dove pure lascia a desiderare la qualità della classe politica, la scarsa efficienza della legge elettorale che partorisce un Parlamento frammentato e lento (con il bicameralismo perfetto); per non dire delle mancate riforme di sistema, del sistema politico assistenziale e del debito pubblico, palle al piede che dobbiamo trascinarci. Se l’analisi di Max Weber è esatta, alla società italiana mancano la visione adeguata del mondo, il culto ed il rispetto dello Stato, l’etica pubblica e quella del lavoro, che sono posti alla base di un adeguata Weltanschauung.