Green Pass, una storia italiana

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Recenti ricerche statunitensi ed israeliane su di un campione di oltre 700mila soggetti guariti dall’infezione da Covid, smentiscono la necessità di vaccinare quelle persone. Gli studi pubblicati da prestigiose università confermano quello che da tempo immemore era già noto, ovvero che l’immunità naturale acquisita in seguito alla malattia virale, è perdurante nel tempo ed immunizza meglio di quella artificiale da vaccino. Secondo quanto si legge negli studi citati, gli individui con immunità naturale acquisita, hanno ben 27 probabilità in meno di contrarre di nuovo la malattia, rispetto ai vaccinati. A questo si aggiunga che l’Istituto di Statistica (Istat) ha contestato la validità delle cifre riguardanti i deceduti a causa del Covid. Lo stesso ministro della Salute ha ammesso che occorre una revisione dei dati, creando, in tal modo, un certo disorientamento tra gli scienziati “telegenici” che da mesi si affannano a declinare la stessa storia sulla necessità di vaccinare tutti ad oltranza. Se aggiungiamo a tali sorprendenti novità quella che i vaccinati sono soggetti a nuove infezioni ed in alcuni casi anche alla morte, ben si comprende come si sia precipitati nel marasma più completo. Le varianti del virus, che riguardano la zona del genoma deputata alla produzione della proteina Spike, incidono non poco a diffondere il contagio tra i vaccinati, con buona pace dell’indefettibile verità sulla creazione di un’immunità di gregge attraverso la vaccinazione di massa in un periodo epidemico, come già noto per i virus ad RNA. Insomma, chi aveva giocato l’unica carta sulla possibilità di creare una sorta di immunità diffusa tramite il vaccino, pare possa perdere la partita. La questione è tutta all’interno di queste verità scientifiche che man mano si affacciano ad ambiti di certezza dopo che per circa due anni si è brancolato nel buio delle supposizioni che sono diventate verità sacramentate per bocca di supponenti personalità televisive di ogni colore. Purtroppo in Italia, come accaduto altre volte, la ricerca è incastonata in ambiti ristretti, controllata dalla politica per quanto riguarda i centri universitari, che operano in concorrenza tra di loro e senza nesso di collaborazione, ed il grande potere economico e finanziario messo in campo dalle case farmaceutiche per la restante parte dei laboratori di ricerca applicata. Gli stessi vertici delle istituzioni sanitarie, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Superiore di Sanità, Aifa e commissioni varie, sono subordinate ai decisori politici e ad una sorta di “manuale Cencelli” tra i partiti che governano. Se questo è il retroterra decisionale non c’è da meravigliarsi che il mondo della politica accolga le opinioni dei propri affiliati piazzati in quelle strutture ed istituzioni sanitarie. Al governo giunge non la voce della scienza neutrale e pragmatica ma quella degli interessi politici e, perché no, degli interessi che sostengono il potere politico. In un contesto di tal fatta non è più sufficiente la voce dello scienziato, né un Ministro mite e galantuomo, ma occorre ben altro e con ben altra consistenza. In questa terra di nessuno e di tutti, si fanno spazio mezze calzette ed orecchianti della scienza al servizio della politica e delle decisioni che ad essa paiono convenire. Non si spiegherebbe altrimenti il pensiero unico e convergente sull’adozione di leggi restrittive ed intransigenti, invocate in nome della salute pubblica e poco conta che paesi di più antica cultura liberale e di maggiori capacità scientifiche non abbiano scelto altrettanto rigore. Il Green Pass, lungi dall’essere una panacea garantita per fermare il virus, è solo uno strumento per arginare una pandemia che non cesserà se non con l’introduzione di altri rimedi terapeutici, diversi rispetto alla tanto decantata quanto irraggiungibile immunità di gregge. Una nazione con una classe politica meno litigiosa ed istituzioni sanitarie meno auto referenziali, sarebbe corsa a finanziare le ricerche su quei farmaci anti virali che solo adesso sono giunti alla fase finale della sperimentazione. Avrebbe optato per un’assistenza domiciliare mirata alle fasce deboli e più esposte, con largo uso di anticorpi monoclonali nell’immediatezza della positività al Covid e non si sarebbe cullata nella “vigile attesa“ a base di Tachipirina. Non ci saremmo allineati supinamente alle decisioni di altri Stati ed alle logiche speculative dei produttori di vaccini, impiccandoci da soli alla ineluttabilità di un unico rimedio possibile. Innanzi ad un morbo estraneo alla razza umana abbiamo finanche rinunciato ad eseguire autopsie nei primi decessi, condannando a morte, per diffusa trombo embolia, migliaia di malati. Avremmo infine evitato che l’Istat e lo stesso Iss ci svvertissero, dopo mesi, che la conta dei morti è stata taroccata. Ma tutto ritorna nella tradizione italiana dell’approssimazione di retroguardia, con la scienza divulgata attraverso le certezze delle massaie e dei venditori di fumo, che imperversano sui social.

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