Per coloro che non hanno dimestichezza con il napoletano converrà spiegare che il termine “guarattelle” sta a significare una situazione nella quale regna la confusione se non il caos. Non si tratta però di un fatto tragico oppure afferente al melodramma, tipica manifestazione del teatro lirico italiano oltre che di un’inclinazione caratteriale degli abitanti del Belpaese. La parola racchiude, con mirabile sintesi semantica, una situazione semplice che viene ingarbugliata dai comportamenti dei protagonisti. Tipiche dell’opera dei pupi, che narrano delle avventure di Pulcinella, natio di Acerra, servitore all’apparenza sciocco e venale, ma che in fondo gode di grande esperienza, dell’innata furbizia e della giovialità che accompagna quasi sempre la povera gente costretta a vivere di espedienti. Il vocabolo risciacquato in Arno si traforma, in italiano, “bagattella” che ben si comprende essere qualcosa che definisce contesti di scarsa serietà. Se si dovesse definire, lapidariamente, l’attuale momento politico nostrano, ben si potrebbe usare questa espressione. Dopo la bocciatura da parte del senato del decreto Zan, riguardante l’inasprimento delle pene per i reati omotransafobia, col suo ultroneo ed esagerato carico di limitazioni delle attività politiche ed associative per i rei, sono scoppiate fibrillazioni che hanno complicato non poco il quadro politico. Il centrodestra pur con i leghisti ed i forzisti in maggioranza, esprime una malcelata euforia, all’indomani della debacle elettorale. Invece nel centrosinistra è in atto una vera guerra tra il Pd e Italia viva di Renzi, e con una parte del M5S, quella che si sospetta abbia votato contro il provvedimento (nel segreto dell’urna) su mandato di Luigi Di Maio. Quest’ultima da illazione è diventata una vera e propria accusa, esplicitata da Enrico Letta. Su quest’ultimo versante tale complicata vicenda potrebbe avere come origine l’inizio delle grandi manovre per l’elezione del Capo dello Stato. Molti infatti sono i pretendenti in pectore nel centrosinistra per lo scranno del Colle, ancor più numerosi quelli che voglio mettere il cappello sull’operazione politica dell’elezione della prima carica della Repubblica. Il piano che Letta paventa consisterebbe nel tradimento delle truppe parlamentari di Renzi e quelle del ministro degli Esteri Di Maio. Queste potrebbero, in futuro, fare fronte comune con Salvini & C. Credo vada tenuta fuori l’ipotesi che Silvio Berlusconi possa essere il destinatario di quei voti, ancorché aspiri a salire al Quirinale, per le sue passate disavventure, che hanno interessato tanto la cronaca rosa che quella giudiziaria. Tuttavia potrebbe venir fuori un nome altisonante, dal passato ineccepibile, che possa unire varie forze politiche, oppure consistenti spezzoni delle medesime. Poiché nel centrosinistra molti sono gli aspiranti non è detto che gli scontenti e le loro truppe parlamentari non si possano sommare a coloro che hanno architettato questo disegno di trasversalità. Sarebbe d’altronde tutto ineccepibile, essendo l’elezione dell’erede di Mattarella quasi sempre avvenuta con un forte e variegato schieramento politico. Quello che non reggerebbe in questa situazione sarebbe la sorte del governo Draghi, facendo in tal modo aprire innanzi alla maggioranza che ha eletto il capo dello Stato una duplice via. La prima di eleggere un governo “di salute pubblica” con un nuovo esecutivo che porti la nazione alle elezioni politiche. La seconda, quella di andarci alle urne nel momento di massima debolezza del Pd e del Movimento, ovvero degli sconfitti su Ddl Zan. Una sconfitta che lacererebbe il partito di Letta, concludendo, al tempo stesso, la faida strisciante che si trascina da temp nel gruppo parlamentare dei pentastellati. Questi ultimi sono in buona parte divisi tra coloro che sono stati candidati da Luigi Di Maio e che ancora orbitano intorno all’uomo di governo ed al suo potere ministeriale, e quelli, in fase calante, che prima orbitavano intorno a Giuseppe Conte. Questi essendo uscito da palazzo Chigi da tempo, vedrebbe scemare la sua per la verità già bassa attrattività. Lo stesso potrebbe scatenarsi sul versante opposto del centrodestra se le ambizioni di Berlusconi venissero deluse e senza consolazione. Se si accendesse un’altra resa dei conti tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini per la premiership di quella area politica. Insomma la precarietà è ormai generale perché molte sono le soluzioni ipotizzabili. Non estranea a questo stato di cose la più volte richiamata legge elettorale proporzionale e la conseguente frammentazione identitaria che ne consegue. Sparita la possibilità del premio di maggioranza, la scelta diretta del premier e del programma da parte degli elettori (con la stabilità che ne deriva), l’unica sicurezza è quella che tutto sia possibile. Sparite le forze politiche tradizionali ed il corredo dei valori distintivi che le identificava, non restano che le guarratelle come rappresentazione della realtà politica. Peraltro recitate da attori scadenti.