ROMA – Vola la spesa pubblica, e quest’anno sfonda la quota di 1.000 miliardi: come quattro Pnrr. Un’analisi dell’ufficio studi della Cgia Mestre fa il punto sui conti pubblici italiani. E ne emerge per esempio – viene spiegato – che per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni e per erogare i servizi di natura pubblica (dalla sanità alla sicurezza, dalla scuola ai trasporti) lo Stato spende per gli italiani quasi 3 miliardi al giorno. Non solo questo però. Perché risulta che rispetto al 2020 quest’anno le uscite complessive dello Stato sono aumentate di oltre 56 miliardi; pari a 154,2 milioni al giorno in più rispetto al 2020.
Quindi per gli analisti della Cgia quest’anno spendiamo come quattro Pnrr (il Piano di ripresa e resilienza è pari a 235 miliardi): i 1.000 miliardi di spesa pubblica che usciranno nel 2021 dalle casse pubbliche sono “un importo di oltre quattro volte superiore a quanto saremo chiamati a spendere nei prossimi cinque anni con i soldi messi a disposizione dal Pnrr”. Una spesa pubblica che “per quasi 900 miliardi è di parte corrente e viene utilizzata per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali”. Ma per il 2022 c’è anche “il pericolo che la spesa pubblica superi abbondantemente i 1.000 miliardi toccati quest’anno è molto plausibile”. Tra le uscite spiccano le pensioni: secondo la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza la voce di spesa corrente più significativa che registriamo quest’anno è quella per le pensioni che ammonta a 287,6 miliardi di euro; a seguire i redditi da lavoro dipendente con 179,4 miliardi, i consumi intermedi con 161,9 miliardi, le altre prestazioni sociali con 116,3 miliardi, e le spese correnti con 87,6 miliardi. In tutto, includendo anche gli interessi sul debito pubblico (pari a 60,5 miliardi), il totale delle spese correnti arriva a 893,4 miliardi. Con le spese in conto capitale (cioè gli investimenti), la spesa finale ammonta a 1.000,7 miliardi; a fronte di entrate che raggiungeranno gli 832,9 miliardi (l’indebitamento netto si attesta a meno 167,6 miliardi, il meno 9,4% del Pil).
Un capitolo riguarda la riforma del fisco. Nei prossimi anni infatti – si fa presente – come “il problema sarà quello di ridurre progressivamente le uscite per consentire al governo di reperire le risorse necessarie per realizzare una strutturale e significativa riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese. Con un rapporto debito/Pil che si aggira attorno al 154 per cento, questa riforma non potrà essere finanziata in deficit”; anche perché “l’Ue non lo permetterebbe”. A questo bisogna aggiungere che, anche grazie alle risorse del Pnrr, “nei prossimi anni sarà necessario produrre più ricchezza e lavoro” per “aumentare significativamente la platea degli occupati”. In questo modo saremo in grado di ridurre “sussidi, bonus, contributi a fondo perduto e integrazioni al reddito”. Altro nodo è quello dell’inflazione; la spinta – si rileva – arriva anche dalle politiche espansive: “il forte aumento registrato in questi ultimi mesi è sicuramente imputabile all’incremento dei prezzi delle materie prime ma anche alle politiche espansive”.
di Tommaso Tetro