ROMA – Segregata, maltrattata e violentata per quasi tre giorni dal suo compagno, nella sua stessa casa. Ferita con un coltello da cucina agli arti superiori, picchiata al volto e ai fianchi, costretta a soddisfare le sue richieste, legata al letto con nastro adesivo e sottoposta allo sfregamento di un peperoncino piccante sugli occhi.
E’ stato l’incubo vissuto da una donna di 36 anni, iniziato a pochi giorni dall’inizio della convivenza, che ha avuto fine solo nel tardo pomeriggio di sabato scorso, quando la 36enne ha colto la prima occasione utile per liberarsi e fuggire dall’aguzzino, che si era allontanato da casa lasciandola senza cellulare. Uscendo in strada, si è rifugiata in un negozio vicino, chiedendo aiuto. Il titolare ha contattato il 112, lanciando l’allarme: all’arrivo dei carabinieri, la donna è stata portata in pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di Civitavecchia, dove i medici hanno riscontrato le violenze.
Il compagno, un 39enne del posto già noto alle forze dell’ordine, rientrato a casa in nottata, si è accorto che la donna era fuggita e si è reso irreperibile: ha utilizzato il telefono di lei per inviarsi via whatsapp dei messaggi minatori, nel tentativo di screditare il racconto della ragazza. All’orario degli invii, però, la donna era già in ospedale, guardata a vista da medici e carabinieri e non aveva con sé alcun telefono.
Sentitosi braccato, senza riuscire a trovare alloggio da familiari o amici, domenica mattina l’uomo si è presentato spontaneamente in caserma: essendo stato fuori casa tutta la notte per paura che i carabinieri lo raggiungessero a casa, non aveva fatto in tempo a nascondere i propri ‘strumenti di tortura’, che sono stati ritrovati nel corso della perquisizione. Il coltello e i peperoncini utilizzati per seviziarla, le lenzuola sporche di sangue, tracce biologiche in vari locali dell’appartamento.
Sono state l’efferatezza e la crudeltà gratuita dimostrate dall’uomo e ricostruite con le indagini dei carabinieri, coordinate dalla Procura, a convincere il Giudice per le Indagini preliminari di Civitavecchia che la custodia in carcere fosse la misura necessaria.
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