Una nazione barocca

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Tempo di referendum. La Consulta ha finora bocciato il quesito riguardante la legge sull’eutanasia e quello sulla depenalizzazione della cannabis, ammettendo però quattro dei sei quesiti referendari sulla giustizia. Ma non quello sulla responsabilità civile dei magistrati, ovvero sulla possibilità che siano le toghe a dover risarcire il danno provocato a causa di loro dolo o colpa grave. Sulla scorta di questo ultimo pronunciamento si eradica, dunque, la possibilità che il popolo italiano possa esprimersi su una delle più spinose questioni ancora irrisolte sul tavolo della riforma dell’ordinamento giudiziario. Di conseguenza sarà lo Stato a dover risarcire quanti avranno subìto una ingiusta detenzione sia per la carcerazione preventiva sia per sentenze successivamente riformate nei vari gradi di giudizio. Insomma la cosiddetta intangibilità dei giudici resiste.

A scanso di equivoci, sarà bene spiegare che non è facile dimostrare che gli errori giudiziari siano effettivamente figli di comportamenti dolosi o di grave colpa e che per una giustizia più giusta andrebbe, semmai, ampliata la casistica degli errori commessi per negligenza ed imperizia sulla stessa falsariga di quanto avviene per tutti coloro i quali esercitano una professione che li rende responsabili per i danni da loro stessi provocati. Spesso si tratta di vite distrutte, di carriere stroncate, di perdita dell’onorabilità intesa come la serie di attributi civili e morali che vengono riconosciuti ad una persona nel contesto sociale in cui essa vive e lavora. E tuttavia se sbaglia un medico, un chirurgo, un biologo, un avvocato, un ingegnere, anche nell’ambito di un rapporto di  dipendenza con la pubblica amministrazione, questi è costretto a pagare di tasca propria per gli errori commessi. Le polizze assicurative che sono disponibili in tali casi hanno massimali molto alti e costano un occhio della testa, gravando sui guadagni o gli stipendi dei professionisti di turno. Per i magistrati no. Non vale. Per le toghe si sorvola, si invocano le guarentigie costituzionali come quella della indipendenza della magistratura che, negli anni, si è trasformata in una vera e propria intangibilità anche innanzi all’errore più marchiano ed evidente.

Che poi, parliamoci chiaro: gli stessi giudici costituzionali hanno anch’essi qualcosina da farsi perdonare a partire dalla inveterata e levantina prassi che consente, a ciascuno dei componenti della corte di Palazzo della Consulta, di assurgere, per inerzia di età, alla presidenza della Consulta stessa. Ogni sei mesi il presidente uscente si dimette percependo, in tal modo, pensione, benefit e status di ex presiedente e facendo subentrare, al proprio posto, il più anziano dei restanti componenti del collegio. Insomma un escamotage a cui occorrerebbe porre rimedio ma che viene tollerato ed acquisito alla normalità.

Ma c’è di più. Un quesito dirimente per evitare la collusione tra potere politico e magistratura, ampiamente provato dall’affaire Palamara, sarebbe stato quello che avrebbe potuto  impedire  ai togati di assumere incarichi extra giudiziari. Spesso molti giudici (soprattutto quelli dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato) sono chiamati per ruoli di segreteria o di direzione, presso ministri e ministeri assumendo “nomine”, si badi bene, sostanziose ma anche ben remunerate, che somigliano tantissimo ad incarichi politici veri e propri. Tutto  ciò crea aspettative e “collusioni” che non possono non riverberarsi sull’autonomia di giudizio e sulla loro imparzialità. Provate ad impugnare un decreto ministeriale e vedete se qualcuno è disposto a darvi ragione! Tornando all’azione della Consulta, hanno  incassato “semaforo verde” i quesiti referendari sulla separazione delle carriere e quelli marginali sul divieto  di presentazione  liste di candidature al Csm, oltre che  per l’abolizione della legge Severino. Quest’ultima, in molti lo ricorderanno, servì ad hoc per l’uso politico di espellere Silvio Berlusconi dal Senato. Stiamo parlando di una norma scarsamente applicata ma dal sinistro utilizzo retro attivo, in quanto valida per reati commessi quando la legge ancora non esisteva.

In sostanza, sarebbe come multare per divieto di sosta un automobilista che aveva parcheggiato la propria auto in un luogo prima ancora che vi fosse stato apposto il divieto! Resta poi la magra consolazione del voto sulla separazione delle carriere dei giudici. Ma, c’è da scommetterci, su entrambi i versanti, quello giudicante e quello inquirente, resteranno le protezioni e le possibili interferenze tra politica e magistratura politicizzata. Ci accingiamo forse a celebrare altri ludi cartacei. Sono passati ottant’anni dalla legge sulla giustizia e trentacinque dalla legge Vassalli che aggirò l’esito del referendum che aveva sancito la responsabilità civile  dei magistrati. Continuiamo ad essere pertanto una Nazione arretrata e barocca. Non lamentiamoci se la gente non crede più a niente.

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