MILANO – Di fronte a una ipotesi di stop di gas dalla Russia domina il pessimismo sullo scenario della economia italiana. Bankitalia la vede più grigia del governo Draghi. Se il Def anche in caso di scenario peggiore di interruzione del gas russo senza che si riesca a sostituirlo con quello di altri produttori prevede un mini progresso del Pil, cioè +0,6% contro il 3,1% che è il nuovo scenario base governativo, nel suo ultimo bollettino economico, Banca d’Italia invece prefigura in quel caso una nuova recessione, con due anni di prodotto in diminuzione dello 0,5%. Con l’inflazione che schizzerebbe all’8%.
Lo scenario più severo visualizzato da Banca d’Italia prende in considerazione un quadro in cui il conflitto Russia-Ucraina oltre a prolungarsi si aggravi con una minore disponibilità di gas per l’Italia “a seguito di un arresto delle forniture dalla Russia della durata di un anno a partire da maggio”. La sospensione, in parte compensata mediante il ricorso ad altri fornitori, si tradurrebbe in una riduzione di circa il 10% della produzione del settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata. Questo con strozzature per le attività manifatturiere ad alta intensità energetica.
In aggiunta “effetti indiretti legati alla minore offerta da parte dei settori a valle e a una diminuzione di occupazione, redditi e domanda aggregata”. I prezzi del gas naturale volerebbero a livelli superiori a quelli dell’inizio di gennaio di 130 punti nel 2022 e di circa 90 nel 2023, mentre il rialzo dei prezzi del petrolio sarebbe di circa 40 e 30 punti. Ciò farebbe calare il pil “di quasi mezzo punto percentuale sia quest’anno sia il prossimo”. Rispetto a quanto ipotizzava il Bollettino economico dello scorso gennaio, il prodotto risulterebbe ridimensionato per più di 7 punti percentuali nel biennio 2022-23. Ma “nell’attuale contesto di fortissima incertezza non si possono escludere scenari ancora più sfavorevoli”, precisa Bankitalia.
Un po’ meno pessimismo nel Documento di Economia e Finanza del governo si prefigura con uno stop dell’export verso la Russia un calo dello 0,2% del Pil nel 2022. “In base ad un’interpretazione molto ampia dei provvedimenti, si stima che i settori soggetti a divieti di esportazione contino per circa la metà dell’export italiano verso la Russia. L’azzeramento di tali esportazioni a partire dal mese di marzo causerebbe un calo del PIL Italiano di circa 0,2 punti percentuali nel 2022 e un ulteriore impatto di 0,1 punti nel 2023”.
Il ministro dell’Economia Daniele Franco nella premessa al Def è chiaro: “Alla luce delle tante incognite dell’attuale situazione, la previsione tendenziale è caratterizzata da notevoli rischi al ribasso”. Così “tra questi spicca la possibile interruzione degli afflussi di gas naturale dalla Russia, che nel 2021 hanno rappresentato il 40 per cento delle nostre importazioni. Sebbene questo rischio sia già parzialmente incorporato negli attuali prezzi del gas e del petrolio, è plausibile ipotizzare che un completo blocco del gas russo causerebbe ulteriori aumenti dei prezzi, che influirebbero negativamente sul PIL e spingerebbero ulteriormente al rialzo l’inflazione”. E in questo scenario “la crescita media annua del 2022 potrebbe scendere sotto il 2,3 per cento ereditato dal 2021”.
“Le prospettive di crescita dell’economia appaiono oggi più deboli e assai più incerte che a inizio anno”, si evidenzia nella premessa al Def. “Nell’aggiornamento della previsione ufficiale del presente documento – si legge – il peggioramento del quadro economico è determinato dall’andamento delle variabili esogene dai prezzi dell’energia ai tassi d’interesse, dal tasso di cambio ponderato dell’euro alla minor crescita prevista dei mercati di esportazione dell’Italia. Tutte meno favorevoli di quanto fossero in settembre, in occasione della pubblicazione della precedente previsione ufficiale nella Nota di Aggiornamento del Def”.
Al centro il nodo energia. Secondo le valutazioni preliminari di via Nazionale, l’eventuale interruzione dei flussi di gas naturale dalla Russia potrebbe essere compensata “per circa due quinti entro la fine del 2022, senza intaccare le riserve nazionali di metano, ricorrendo all’incremento dell’importazione di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti e dal Qatar; al maggiore ricorso ad altri fornitori, come l’Algeria o all’aumento dell’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali.