Brucellosi, i nodi irrisolti del piano

Bufale sane macellate, il bluff dei vaccini, il no all’autotutela, i dubbi sulle diagnosi e gli ostacoli al ripopolamento delle stalle

CASERTA – Urlano le loro ragioni, chiedono aiuto. Gli allevatori non si arrendono. Ma chi dovrebbe rappresentarli e tutelarli è distante anni luce. Uno scollamento totale. E ora, a renderlo evidente anche a chi sente e vede poco, ci hanno pensato le dure proteste. Il 13 aprile il corteo in autostrada, giovedì scorso ‘il funerale’ del comparto bufalino, con tanto di bara e banda musicale fatte sfilare sotto la direzione generale dell’Asl Caserta. Poi l’attivazione del sit-in permanente davanti al monumento ai Caduti e stamattina quello davanti al palazzo della Regione.

La battaglia per sconfiggere brucellosi e tubercolosi che colpiscono le bufale, nella provincia di Caserta si è trasformata in un processo di annientamento delle piccole e medie aziende agricole. Il precedente piano per l’eradicazione aveva generato come principale effetto una crudele processione di animali verso i macelli. E mentre gli allevamenti si svuotavano (e si svuotano ancora) a beneficiarne è stato (è) soprattutto il mercato delle carni.

Ad aprile la giunta regionale ne ha partorito uno nuovo (di piano) che avrebbe dovuto correggere il tiro e fermare la mattanza di animali, aiutando e non affossando gli allevatori. Ed invece ha disatteso le richieste della categoria, attivando norme complesse, che rendono davvero difficile la sopravvivenza commerciale degli imprenditori.
Il ripopolamento delle stalle per chi si è confrontato con la mannaia degli abbattimenti è diventato un iter ad ostacoli che in pochi riescono a completare. E in queste settimane abbiamo raccolto pure la paradossale testimonianza di chi, nonostante avesse rispettato tutte le procedure per riprendere a produrre latte, non ha ricevuto l’ok dall’Asl per ricomprare bufale. Risultato? Ha deciso di investire fuori regione. E l’imprenditore di cui abbiamo scritto è tra i fortunati, perché è tra quelli che hanno avuto la possibilità di reagire e andare via. Tanti altri suoi colleghi, invece, a breve, chiuderanno i cancelli dei propri allevamenti (parecchi lo hanno già fatto) con la speranza di campare con altro. E mentre proveranno a reinventarsi, il territorio perderà una risorsa inestimabile: l’oro bianco. Lavorarlo sta diventando un lusso che possono permettersi poche e grandi aziende. Cosa succederà se non si interviene subito? Che il latte di bufala e la mozzarella non saranno più un bene artigianale, ma una risorsa industriale in fuga da Terra di Lavoro. Per trecento aziende è suonato già il de profundis. Le loro chiavi simbolicamente sono state portate in prefettura. E difficilmente qualcuno andrà a riprendersele.

La presentazione del programma

Mentre gli allevatori protesteranno oggi sotto il palazzo della Regione, l’assessore Nicola Caputo (nel tondo), il delegato all’Agricoltura che ha seguito la redazione del nuovo e contestatissimo piano, lo presenterà ufficialmente affiancato da Pierdavide Lecchini, direttore generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari del ministero della Salute, Antonio Limone, Nicola D’Alterio e Piero Frazzi, rispettivamente direttori degli Istituti zooprofilattici del Mezzogiorno, dell’Abruzzo e del Molise e dell’Emilia Romagna, Ferdinando Russo, direttore generale dell’Asl Caserta, Giuseppe Iovane e Giuseppe Campanile, il primo professore di malattie infettive degli animali domestici, il secondo di zootecnica speciale, entrambi in servizio presso l’università Federico II. Il politico renziano ha organizzato questo incontro “per fare chiarezza e per aprire un dialogo con i manifestanti”. E alla tavolata di dotti, medici e sapienti, direbbe Edoardo Bennato, rivolgiamo alcuni degli interrogativi posti dagli allevatori che finora sono stati se non ignorati diciamo affrontati spesso superficialmente.

I conti non tornano


La domanda principe ha come tema i numeri. E le cifre sono impietose. Su 60.749 animali abbattuti dal 2011 al 2021, ad essere stati analizzati batteriologicamente sono stati solo 8.721. Risultato? Si è accertata la presenza di Brucella spp solamente su 290 bufale. Numeri ugualmente sconcertanti anche se guardiamo ai dati della tubercolosi. Prendendo come riferimento solo il 2020, su 8187 bufale macellate (in quanto positive alle prove in vivo) esaminate sempre batteriologicamente, solo in 30 sono stati isolati batteri del complesso Mycobacterium tuberculosis. E’ evidente che qualcosa non quadra. Se ti rendi conto che il piano sta massacrando animali sani, o comunque animali dei quali non hai la certezza che siano effettivamente infetti, perché non intervieni? Per anni si è scelto di non fare nulla continuando ad usare la stessa procedura. Perché?
I numeri a cui facciamo riferimento erano stati chiesti dagli allevatori più e più volte. Ma venivano puntualmente negati. Sono spuntati fuori solo quando il caso è finito sotto i riflettori della Procura di S. Maria Capua Vetere. Le tabelle sono state consegnate grazie all’attività giudiziaria innescata dalla denuncia presentata dagli avvocati Enzo Scolastico e Antonio Sasso.

Diagnosi


Un altro quesito riguarda la diagnostica. Tanti allevatori sostengono che la mattanza di bufale si sarebbe potuta evitare con controlli, quando i capi erano in vita, più approfonditi. Dicono che gli esami FdC (Fissazione del complemento) e Sar-Sieroagglutinazione a cui sottopongono i campioni di sangue delle bufale sono ‘visivi’ ed è possibile, durante la loro elaborazione, confondere gli anticorpi delle brucellosi con quelli prodotti da altre infezione. Perché mai non prediligere quelli batteriologici, che vanno a concentrarsi sui tessuti di mammelle, utero e milza, verso i quali la brucella ha uno spiccato tropismo (una forte tensione a colpirli)?

Il siero anti-brucella


E c’è il sempiterno nodo vaccino anti-brucellosi.  E’ possibile inocularlo nei capi tra i 6 e i 9 mesi. E con il nuovo piano è stato deciso che è obbligatorio iniettarlo solo nelle bufale di aziende ufficialmente indenni nell’area cluster, cioè la zona rossa dove l’infezione è fortemente radicata, e cioè Castelvolturno, Cancello Arnone, Grazzanise e S. Maria La Fossa. Nonostante adesso sia obbligatoria, la vaccinazione anche in questi quattro comuni finora non è partita. E semmai dovesse realmente prendere il via, che senso ha non renderla obbligatoria pure nelle altre zone?

Le analisi? Cosa dell’Asl e basta


Altro aspetto. Chi lavora con le bufale aveva chiesto alla Regione di inserire nel nuovo piano il principio dell’auto-controllo, ovvero la possibilità di monitorare autonomamente le possibili infezioni nelle stalle. Ed invece continua ad essere un tabù. E’ ‘cosa dell’Asl’ e basta. Per quale ragione? E perché non dare l’opportunità agli allevatori di effettuare contro-analisi dopo le ordinanze di abbattimento? Se un imprenditore agricolo oggi si rivolge al Tar rischia di firmare la sua fine lavorativa. In poco tempo, stando al nuovo piano, si troverà impossibilitato a commerciare pure il latte delle bufale che non erano risultate positive alle infezioni.

Marchio Dop


Su tutta questa complicata vicenda, quanto hanno inciso le richieste di allargare la zona Dop della mozzarella, il principale prodotto fatto con il latte di bufala, ad altre aree della Campania? L’importante marchio potrebbe essere esteso a nuove zone solo se quella casertana verrà ridimensionata. E di questo passo, a colpi di ordinanze di abbattimento, di allevamenti in Terra di Lavoro ne resteranno davvero pochi.

Le responsabilità politiche


E ci sarebbero da affrontare anche aspetti più strettamente politici. C’è un dato evidente. Chi era stato incaricato di affrontare l’emergenza brucellosi-tubercolosi ha fallito. Il settore è al collasso. Tante aziende hanno chiuso. Gli allevatori sono scontenti. Ma la struttura che aveva avuto l’onere e l’onore di trovare una soluzione è ancora lì. Il principio di silurare chi sbaglia, chi non riesce a raggiungere un obiettivo, in Italia, a quanto pare, continua a non essere tra quelli annoverati.

Brucellosi, i nodi irrisolti del piano

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