MILANO – “Credo che sia molto importante il progetto sul long covid che come Istituto Superiore di Sanità, coordiniamo, è una frontiera nuova da conoscere, esplorare e credo che sia una sfida importante. Siamo di fronte a uno scenario che evolve e c’è grande attesa da parte della comunità scientifica e nazionale e dobbiamo metterci in assetto come Servizio sanitario nazionale per poter dare una risposta a questo tipo di domande”. Lo dice il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, intervenendo all’apertura dei lavori del secondo appuntamento dal titolo ‘Long-Covid: pronti a fronteggiare l’impatto presente e futuro della pandemia?’, webinar organizzato dall’Iss e dedicato ai professionisti del settore che portano le esperienze ‘monitorate’ negli ultimi 2 anni di Long-Covid e le prime evidenze scientifiche. Secondo i dati, riferiti alla prima ondata 2020 della pandemia, presentati dal dottor Matteo Tosato dell’IRCSS Policlinico ‘Gemelli’ di Roma, una delle prime strutture a predisporre un servizio multidisciplinare di day hospital per long covid, su un campione di circa 150 pazienti a due mesi dal virus “solo il 12% diceva di essere tornato come prima della patologia e più del 50% sosteneva di avere 3 o più sintomi”. “Vedevamo il fenomeno della persistenza dei sintomi dopo Covid acuto – ha spiegato Tosato – che ancora non aveva il nome di Long Covid”.
Durante il webinar sono stati illustrati i numeri raccolti dall’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale dove la clinica di Malattie infettive di Udine è guidata dal dottor Carlo Tascini. Con il suo team hanno seguito un gruppo di 1000 pazienti della prima ondata. Di questi 599 sono stati monitorati a 6 msi dall’infezione e “358 non presentavano sintomatologia mentre 241 sì – ha spiegato Tascini -. La differenza principale che si aveva era il sesso, con le femmine che avevavano sviluppato rispetto ai maschi la sindrome post Covid”.
Tra i sintomi ‘persistenti’ il principale è quello della “fatica e della stanchezza, ma anche sintomi neurologici e psichiatrici mentre abbiamo registrato una minore incidenza dei sintomi respiratori, sebbene tutto questo sia stato verificato in base a quanto riportava il paziente principalmente con contatti telefonici”.
Lo stesso campione è stato testato a un anno di distanza. Si sono presentati 275 pazienti per prelievo e sierologia con due diversi test, uno per gli anticorpi sviluppati in base alla infezione naturale da Covid e una sierologia che invece ‘vedeva’ gli anticorpi sviluppati con la vaccinazione (circa il 25% del campione aveva nel frattempo ricevuto la somministrazione del vaccino).
“A un anno permengono i sintomi reumatologici – ha spiegato il dottor Tascini – mentre abbiamo registrato un aumento addirittura di quelli oculari e psichiatrici. La probabilità di avere sindrome post Covid sembra legata a produzione anticorpale di anticporpi prodotti naturalmente, mentre i vaccini a m-Rna messaggero non hanno comportato un peggioramento dei sindromi post covid, non abbiamo registrato un peggioramento dovuto alla vaccinazione”. Dati e riflessioni che vanno comunque soppesati – hanno spiegato i professionisti presenti al webinar dell’Iss – a cominciare dal fatto che i campioni riguardano solo il virus della prima ondata e non le successive varianti che si sono diffuse nel tempo.
LaPresse