C’è un giovane collega, Dario, che più di una volta in questi due anni di Scuola di Giornalismo (in cui ho la fortuna di insegnare) mi ha chiesto se scrivere SEO (per i motori di ricerca) non sia l’esatto contrario del giornalismo.
La verità è che ha buona ragione: scrivere per un algoritmo, qualsiasi esso sia, è antitetico al buon giornalismo. Se è l’algoritmo a scegliere, ad esempio, quale è il giusto attacco per un pezzo, per accontentare le logiche dei motori di ricerca, senza lasciare a noi giornalisti la possibilità di raccontare il fatto come avremmo dovuto o voluto, non è buon giornalismo. Se è un tecnico a sostituirsi a un giornalista quando si pubblica online, perseguendo priorità diverse dal racconto, non è buon giornalismo. E ci sono altri algoritmi, come quelli premianti in viralità, che fanno trasformare una videonotizia stravolgendone il montaggio solo per aumentare l’enfasi social, come il giornalista fosse un TikToker qualunque.
È sempre un algoritmo a stabilire se le notizie spazzatura che inquinano la percezione del mondo del giornalismo vadano cassate o meno. Ad oggi, se segnalo alle maggiori piattaforme social un contenuto per le informazioni che contiene, è sempre un algoritmo a stabilire se e come quel contenuto viola le “policy”, che nulla c’entrano con la verità sostanziale dei fatti o la qualità dello stesso. La piattaforma si tutela dalle solite cose (pornografia, violenza, incitamento all’odio) con un po’ di algoritmini spacciati per IA, ma nulla più.
In questa apoteosi di algoritmi che ormai influenzano la scrittura anche delle firme più autorevoli dei più autorevoli quotidiani italiani, un oceano di testate di dubbia moralità sul web prendono ragazzi che copincollano articoli altrui e sfornano un elenco di pubblicisti che vanno ad arricchire le fila professionali in cambio del tesserino OdG che dovrebbe aprire un mondo, mentre di fatto ti obbliga a un codice ATECO che obbliga a versare contributi all’INPGI, un ente che non si è capito bene se domani esista ancora. Giovani costretti poi a sfogliare pagine di “annunci di lavoro volontari” o retribuiti da schifo per entrare nella catena di montaggio SEO che smorza qualsiasi cosa: capacità critica, voglia di approfondire, anche il solo minimo dubbio che dovrebbe portare un giornalista a seguire una storia. Eccolo qui, il mondo degli algoritmi: un mondo di cose uguali scritte allo stesso modo senza porsi molte domande per una manciata di spiccioli. Un mondo che deve cambiare assolutamente, pena la definitiva morte di un settore già agonizzante di per suo.