Eutanasia, cittadinanza italiana ad Alfie Evans. Il papà: Lottiamo

File photo dated 19/12/17 of Tom Evans and Kate James. European human rights judges are considering a plea from the parents of 23-month-old Alfie Evans who has been at the centre of two rounds of a life-support treatment fight. PRESS ASSOCIATION Photo. Issue date: Monday April 23, 2018. The couple, who are both in their early 20s and from Liverpool, failed on Friday to persuade Supreme Court justices to consider their case. See PA story COURTS Alfie. Photo credit should read: Philip Toscano/PA Wire

di Agnese Gazzera

Milano, 23 apr. (LaPresse) – La Corte europea dei diritti umani ha respinto il ricorso presentato dai genitori di Alfie Evans, nell’ultimo capitolo della battaglia giudiziaria intentata dalla coppia britannica per mantenere in vita il figlio di 23 mesi e trasferirlo all’ospedale Bambino Gesù di Roma. La sentenza non ha però messo il punto alla vicenda del bambino in stato semi-vegetativo, affetto da una malattia neurodegenerativa da causa ignota e incurabile, per cui i medici dell’ospedale Alder Hey di Liverpool hanno stabilito di staccare il respiratore. L’Italia è intervenuta nella disputa, mentre la procedura che avrebbe dovuto accompagnare il bimbo alla morte avrebbe già dovuto essere in corso ed è stata invece sospesa per un ‘cavillo legale’, concedendo al bambino la cittadinanza italiana. “I ministri degli Esteri, Angelino Alfano, e dell’Interno, Marco Minniti, hanno concesso la cittadinanza al piccolo Alfie. Così il governo italiano auspica che l’essere cittadino italiano permetta, al bambino, l’immediato trasferimento in Italia”, ha fatto sapere una nota.

A Liverpool, intanto, tra cento e 200 persone si sono radunate nel pomeriggio fuori dall’ospedale, per opporsi alla decisione dei giudici e chiedere di “salvare” Alfie. Ci sono anche stati momenti di tensione, quando alcune decine di dimostranti, tra cui donne con passeggini e bimbi piccoli, hanno tentato di fare irruzione nell’ospedale. Un cordone di polizia lo ha impedito. Inoltre, gruppetti di manifestanti hanno bloccato per circa una quarto d’ora una strada fuori dalla clinica. Tom Evans, il padre del bimbo, ha parlato con i presenti. Citato dai media, ha poi affermato: “Resto qui e Alfie è ancora qui. Perché? Perché continuo a combattere per lui, sto ancora combattendo e lo stesso sta facendo Alfie”. Inoltre, ha detto di essere “in contatto con l’ambasciatore italiano” e ha aggiunto: “Mio figlio appartiene all’italia. Amo Alfie e amo Kate, non cederò”, facendo riferimento alla moglie. Poco prima aveva scritto su Twitter: “Aspettiamo che il ministro degli Esteri chiami Boris Johnson”.

“La Corte europea dei diritti umani oggi ha respinto come inammissibile la richiesta presentata dalla famiglia di Alfie Evans”, aveva fatto sapere in mattinata un portavoce del tribunale di Strasburgo, dopo che i giudici avevano analizzato la questione come “urgente”. I genitori, il 21enne Tom Evans e la 20enne Kate James, avevano esaurito il ricorso a ogni sede legale nel Regno Unito, tra cui in appello alla Corte suprema, e si erano così rivolti ai giudici di Strasburgo. L’inizio della procedura per accompagnare alla morte il bambino è però stato rinviato di mezz’ora, e a quel punto un cavillo nella sentenza dell’Alta corte, che autorizzava lo stop ai trattamenti, ha fatto sì che i genitori siano riusciti a ottenere un allungamento dei tempi. “Ad avviso dei legali che assistono la famiglia, una volta cambiata l’ora della procedura rispetto a quanto previsto dal giudice, sarebbe necessario un nuovo pronunciamento dello stesso magistrato per fissare un’altra ora, non bastando più per l’esecutività della sentenza l’autorità dell’ospedale”, ha scritto Avvenire.

A Liverpool è arrivata nel pomeriggio anche la presidente dell’ospedale pediatrico romano, Mariella Enoc, che a Tg2000 ha detto di sentirsi “impotente”: “L’ospedale sa che sono qui, ma mi hanno detto che non mi vogliono ricevere”. “È la seconda volta in poco tempo – ha proseguito Enoc – che mi trovo a gestire questi casi. È molto faticoso e doloroso perché alla fine non si riesce a fare nulla”. Nell’agosto scorso nel Regno Unito era morto il bambino Charlie Gard, dopo un’analoga battaglia legale condotta dai genitori perché le macchine che gli permettevano di vivere non fossero spente e gli fosse concesso di tentare trattamenti all’estero. Il bimbo aveva una rara malattia genetica, sindrome da deperimento mitocondriale, e i medici e i giudici aveva stabilito fosse opportuno smettere di tenerlo in vita artificialmente. In quel caso erano intervenuti, tra gli altri, gli Usa (che avevano garantito “residenza permanente” per aprire al trasferimento) e Papa Francesco (che mercoledì scorso ha incontrato il papà di Alfie e fatto appello per trasferire il bimbo a Roma).

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