di Raffaele Carotenuto*
Se esistono disuguaglianze sociali allora esistono classi sociali differenti. Questo è il prodotto della storia; tra Nord e Sud si riconoscono condizioni socio-economiche sperequate, divari di vita, opportunità dispari.
Allora perché la parola “classe” è stata rimossa dal linguaggio della sinistra?
L’ex primo ministro britannico – Tony Blair – pur di cancellare la parola “classe” ebbe a dire:” “we’re all middle class now”, un’affermazione intenta a giustificare la cosiddetta “terza via”, ovvero far virare il Partito Laburista su posizioni di liberalismo sociale, sdoganando l’economia di mercato ed accentuando l’autonomia dell’individuo.
Uno dei mali del capitalismo moderno, culturalmente selvaggio, è quello di esasperare i rapporti tra le classi proprio con l’accentuazione di forme regressive di individualismo, rilevando il dumping sociale ed economico, esasperando la competitività che sacrifica ambiente e territorio, che dequalifica, in ultima istanza, un modo di vivere egualitario, orizzontale, fatto di opportunità per tutti. La prima esigenza del capitalismo, al contrario, è quella di fare selezione, di scegliere gli individui, di creare distanze.
Ma quali possono considerarsi le nuove classi sociali? I precari, gli invisibili ai diritti, i Neet. Occupati che non vivono più di contratti collettivi, persone che non sono riconosciute dal diritto, uomini e donne che non cercano lavoro né si inseriscono in cicli scolastici e formativi.
Ma allora se ciò è vero perché non si parla più di classi sociali, di differenze fra classi?
Probabilmente perché la sinistra ha smarrito questa parte del “campo”, ha sacrificato quelle risposte collettive che sapevano affrontare la lotta di classe, è stata sopraffatta anch’essa dall’individualismo come forma culturale deteriore. La classe sociale non è un affare privato, ma si nutre dell’emancipazione degli individui, di territori e comunità di luogo, di risposte educative, di riscontri per una società del possibile. Eppure ci fanno credere una società senza più classi!
L’affievolimento culturale e politico della sinistra ha rilassato partiti, associazioni d’interessi, movimenti, ovvero quei soggetti del pluralismo individuati da Alessandro Pizzorno. Venendo a mancare “l’epoca della speranza politica” è rimasto il clientelismo politico di tipo individualistico quale principale canale di solidarietà e partecipazione, specialmente al Sud. Il sistema clientelare, qui, è diventato esso stesso fonte di potere. Un sistema così arroccato non è più in grado di proporre innovazioni istituzionali che allargano l’accesso alla cosa pubblica.
Marx sosteneva che la lotta di classe è il motore della storia. Niente di più vero.
Una sinistra contemporanea deve ritornare sul “campo” abbandonato, considerando non solo un capitale economico, ma anche un capitale culturale e un capitale sociale.
Il passaggio dalle disuguaglianze sociali ad un capitalismo senza classi, condizione contemporanea, va reinterpretato, va letto sulla base delle moderne contraddizioni, senza fuggire da queste, rispondendo, in primo luogo, a quel “campo del possibile” di Bourdieu su cosa debbano essere oggi la libertà degli individui e la potenza del collettivo.
*Scrittore e meridionalista