NAPOLI – Mentre la Regione e Francesco Coppola si sono accapigliati per anni, prima davanti ai giudici del Tar e poi in Consiglio di Stato, soltanto per capire se fosse necessario o meno aggiornare la valutazione di impatto ambientale (Via) del progetto ‘Porto turistico’, ormai vecchia 14 anni, quella che doveva essere una concessione demaniale, sottoscritta con un obiettivo chiaro, costruire rapidamente la struttura per dare nuova vita a Castelvolturno, è iniziata ad assomigliare sempre di più ad una infruttuosa donazione ad un privato (che ha bloccato quel poco di vitalità marittima che aveva Pinetamare e che sta soffocando, ormai da troppi anni, la possibile rinascita della città). Il porto turistico è un miraggio. I lavori per metterlo in piedi non sono mai realmente partiti. Intanto la darsena è stata coperta da una scioccante distesa di cemento e il resto dell’area dove dovrebbe sorgere la struttura si trova in un osceno e inspiegabile limbo. E in uno scenario del genere, è naturale che si è radicata in tanti la convinzione che quel pezzo del Litorale, dal potenziale economico e sociale enorme, sia stato in realtà ‘ceduto’ dalla Regione, nel 2008, per 60 anni, alla Marina di Pinetamare, la società di progetto attivata dalla Mirabella Spa di Coppola per occuparsi del porto.
Il silenzio della Regione
Se chi guida adesso la Campania non interviene, se non si fa sentire dopo l’inattivismo mostrato dall’imprenditore, l’affidamento in concessione di quella porzione di costa rischia, come detto, di trasformarsi in una ‘cessione’ (per oltre mezzo secolo) data con la benedizione (e c’è da capire quanto consapevole) di Antonio Bassolino, governatore dal 2000 al 2010. Cosa ci spinge a dirlo? Il fatto che indipendentemente da ciò che Coppola avrebbe dovuto fare (completare l’opera in 3 anni e gestirla per altri 57) e non ha ancora fatto, sembra che i 757.500 metri quadrati di area demaniale di Pinetamare che ha ricevuto siano destinati ineluttabilmente a restare ben saldi nelle sue mani fino al 2074 (se diamo per buona la data del 3 luglio 2014, quando fu aperto il cantiere) o fino al 2078 (se facciamo partire il countdown della concessione dal 18 ottobre 2018, quando alla Marina di Pinetamare sono state messe a disposizione tutte le zone su cui avrebbe dovuto operare). Più che un imprenditore, Coppola è stato trasformato dalla politica nel ‘sultano’ di Pinetamare.
Gli articoli della concessione
Nessuno si attiva per mettere l’imprenditore di fronte alle sue responsabilità. Non lo sta facendo né la Regione né il Comune, che dal 2019 è guidato da Luigi Petrella (il quale, oltre a fare il sindaco, è pure un dipendente della Mirabella di Coppola). E chi lo vorrebbe fare non è aiutato neppure tanto dai 22 articoli che si leggono nella convenzione e che regolano l’affidamento della concessione dell’area demaniale alla Marina di Pinetamare. Non c’è un rigo che in modo netto parli dello stop all’accordo se Coppola non avesse rispettato la tabella di marcia concordata. Quello che probabilmente ci va più vicino è l’articolo 17 che riguarda la ‘Risoluzione per inadempimento del concessionario’: tra i motivi che può sfruttare il concedente, cioè la Regione, per attivare la clausola risolutiva vengono menzionati quelli dell’articolo 7 ‘Esecuzione delle opere e adempimenti’. Cosa dicono? Che dalla data di sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori decorre il termine di tre anni per il completamento delle opere: in caso di mancato rispetto del termine per causa imputabile al concessionario, sarà corrisposta una pena di 500 euro per ogni giorno di ritardo. Ma non si fa riferimento alla possibilità di troncare il rapporto in modo diretto. Logicamente se ci fosse volontà politica di fermare l’accordo, la Regione potrebbe ricorrere a principi normativi che vanno oltre quanto previsto nella concessione, come l’articolo 47 del codice navale, che permette all’amministrazione di dichiarare la decadenza del patto “per mancata esecuzione delle opere prescritte nell’atto di concessione o per mancato inizio della gestione, nei termini assegnati”.
Con Scalzone gli indennizzi persi dal Comune
Se il ‘progetto porto’ non vede ancora la luce, a 15 anni di distanza dall’affidamento in concessione alla Marina di Pinetamare dell’area dove dovrebbe sorgere, ne ha colpa, in parte, anche la Regione Campania. Preso atto che Francesco Coppola non riusciva a confrontarsi con questa imponente opera, preso atto delle partenze flop dei lavori, avrebbe dovuto annullare tutto e impegnarsi a cercare altri soggetti in grado di concretizzare il piano. Non lo ha fatto e difficilmente lo farà adesso. Ma nella ‘saga porto’ ad aver avuto un ruolo di vicinanza e sostegno a Coppola in alcuni casi è stato anche il Comune di Castelvolturno. A cosa ci riferiamo? All’eliminazione del vincolo di ‘uso civico’ della zona che dovrebbe accogliere il porto. La Regione, per procedere con l’opera, aveva chiesto al Municipio di destinare i terreni demaniali ad ‘uso turistico’: non sarebbero stati più degli appezzamenti a disposizioni dei cittadini, ma, ospitando il porto, avrebbero avuto, logicamente, altra finalità. E in casi del genere, quando si attuano tali passaggi, il privato che prende in gestione quelle aree deve dare un indennizzo all’Ente. Traduciamo: Francesco Coppola doveva versare quattrini nelle casse del Comune. L’amministrazione, guidata dal sindaco Francesco Nuzzo, nel 2010 aveva approvato una delibera di consiglio comunale con cui reintegrava nel patrimonio dell’Ente tutti i terreni gravati da uso civico, per poi procedere al cambio di destinazione e arrivare alla formulazione dell’indennizzo che avrebbe dovuto incassare. Sintetizzando, aveva fatto tutti i passaggi dovuti con la speranza di arrivare ad ottenere il denaro. Ma quando viene eletto Antonio Scalzone sindaco, la sua maggioranza in Assise decide di ratificare il 9 maggio 2011 un parere presentato dal Commissario straordinario di Governo per le aree demaniali di Castelvolturno. Cosa diceva? Nel 1880, quando furono assegnate le terre al Comune, ci sarebbero stato un ‘errore’ di calcolo nel ripartire le aree demaniali tra il Municipio e lo Stato. E quelle interessate dall’area del porto gravate ad uso civico non erano del Comune ma dello Stato. Cosa comportava? Che non esisteva più il vincolo. Per dare seguito a quanto votato in Assise, la Regione, però, avrebbe dovuto procedere ad una nuova ripartizione (cosa che non è stata mai fatta). Ed è discutibile, in realtà, anche come ha operato l’assemblea cittadina: il suo potere di ratifica, Tuel alla mano, vale per le variazioni di bilancio e le varianti al Puc e non per dare un ‘bollo’ al parere di un commissario di governo. Insomma, una situazione a dir poco ingarbugliata che Dimitri Russo negli anni scorsi, prima ancora che diventasse sindaco, aveva posto all’attenzione delle istituzioni. Ma non ha avuto alcuna risposta.
Tutta questa vicenda ha generato un solo effetto: ha permesso ai Coppola di non dare denaro a Castelvolturno. E il porto, intanto, resta un miraggio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Castel Volturno. Pochi soldi e troppi intoppi, il porto ostaggio di…