Ebbene sì. In questi ultimi anni siamo stati bombardati con tutti i mezzi di comunicazione (dai social alla tv) dai 5Stelle, in base ad una precisa e calcolata strategia di marketing messa a punto dal loro guru, il defunto Gianroberto Casaleggio. Costui ha sempre agito in combinato disposto con il “socio” Beppe Grillo, comico allevato alla greppia di mamma Rai e, quindi, con i soldi dei contribuenti. Insieme, i due, con la partecipazione del faccendiere Enrico Sassoon, hanno dato vita ad una società, la Casaleggio Associati che, con acume preveggente, dopo aver fiutato l’aria politica che tirava, ha intuito che sì, era possibile prendere in giro gli italiani, o meglio, gli italioti, vale a dire coloro i quali lamentavano la fine del sistema politico clientelare e delle prebende di Stato. Si era al collasso della fulgida parabola berlusconiana, delle illusioni della presunta rivoluzione liberale, dei messaggi suadenti e patinati del Cavaliere. Una fase di trapasso della cosiddetta “Seconda Repubblica” nata dalle ceneri di Tangentopoli. L’opinione pubblica, abbeverandosi al fiume carsico delle notizie diffuse via web (comprese quelle artatamente false) appariva disorientata e delusa. In tanti dietro la tastiera si scoprivano l’improvvisamente onniscienti e in grado di contestare qualunque interlocutore con quel poco (o niente) che conoscevano. Nasceva da qui la scelta di Casaleggio & co. di aizzare proprio quella parte di popolazione attraverso l’uso sapiente dei social network, con una rivoluzione a sfondo approssimativo. Le linee ideologiche del movimento divenivano qualunquismo ed incultura, con quest’ultima elevata a criterio di distinzione tra vecchia e nuova politica. Per dirla con altre parole: chiunque avesse partecipato alla pubblica amministrazione o si fosse interessato dell’arte del governo, veniva etichettato come un furbo mascalzone responsabile di tutti i guai e le nequizie del Belpaese. Un’onda irrefrenabile e irresponsabile investiva, allora, come uno tsunami, partiti e politici, quest’ultimi accusati di aver rubato a piene mani, determinando l’enorme debito pubblico delle casse statali. Una colossale boutade, certo, che tuttavia aveva finito con l’allignare facilmente presso gli elettori, rinfocolando l’odio sociale e l’idiosincrasia nei confronti della classe politica e parlamentare. A coloro che si opponevano contro le grida dei sanculotti grillini, invocando la circostanza che la politica avesse comunque bisogno di cultura ed esperienza, veniva risposto che per ben governare erano sufficienti onestà e buon senso. Una miserabile e mendace equiparazione del ruolo delle istituzioni (governo e parlamento) a quelle di una bocciofila di paese o di un circolo ricreativo! In questo contesto impazzito vedeva la luce il Movimento 5 Stelle, che attraverso l’uso sapiente di un’apposita piattaforma, detta “Rousseau”, di proprietà della Casaleggio ed Associati , decideva le cose “etero-pilotandole” dall’alto e nel contempo incassando cospicui guadagni. Nessun programma e nessun valore culturale di riferimento animavano i pentastellati, la cui classe dirigente vieniva cooptata dall’alto, sulla base della personale conoscenza dei prescelti e l’assoluta dedizione alla causa strampalata escogitata da Grillo e Casaleggio. Un moderno colpo di stato realizzato, nei fatti, attraverso il condizionamento delle masse con l’uso dei moderni media messi a disposizione dall’avveniristica società digitale. Tra i prescelti brillava un giovane di Pomigliano d’Arco, popolosa città alle porte di Napoli, universitario fallito che fino a quel momento aveva sbarcato il lunario facendo lo steward allo stadio San Paolo. Di aspetto gradevole e di parlantina fluente, di scarsa cultura, con esperienze politiche pregresse fallimentari, Luigi Di Maio – questo il suo nome – era apparso ai “selezionatori” un candidato ideale per la farlocca filosofia che animava quel Movimento. Gli astri, alla fine, erano stati magnanimi con quel giovanotto senza né arte né parte garantendogli, dopo l’affermazione elettorale del M5S, di poter varcare le soglie del Parlamento in pompa magna, con un manipolo di suoi simili. La teoria di voler conferire un reddito di cittadinanza a tutti gli Italiani aveva appagato le aspirazioni dei clienti, che di mestiere fanno gli elettori. Al contempo, la sbandierata moralità, condita da tesi giustizialiste intransigenti, aveva soddisfatto quel segmento che coltivava ambizione moralistiche, sognando patiboli in ogni piazza. Ed ecco che nella successiva tornata il Movimento si era ritrovato ancora a crescere, diventando il primo partito del Paese, con Giggino Di Maio risultato addirittura tra i più eletti fino ad essere promosso alla carica di Ministro! Roba da matti! La storia recente, con i risultati scadenti, sul piano politico generale, le continue lotte e le diaspore parlamentari dei parlamentari grillini, oltre alla scomparsa dell’ideologo Casaleggio, hanno visto il prepotente ridimensionamento del M5S con la progressiva eclissi del giovanotto di Pomigliano, diventato noto più per le sue ripetute gaffe che per altri meriti. Costui, uscito dai grillini, ha fondato un suo partito ma è rimasto fuori dalle Camere (e dallo stipendio), barcamenandosi a fare l’assistente di qualcuno. Il tutto fino a quando una nuova stella gli ha sorriso. L’alto rappresentante di Bruxelles per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, lo ha infatti ritenuto adatto quale… nuovo inviato Ue nel Golfo Persico, salvandolo dal ritorno all’anonimato. Caso strano per colui che fustigò i politici di mestiere e predicò un solo mandato parlamentare e che oggi gode della politica politicante. Ma in Italia, come diceva Ennio Flajano, tutto si risolve innanzi al grido di “tengo famiglia”.