Nella vita la si può pensare come si vuole ed in politica ancora di più, allorquando ci sia da giudicare l’operato di un governo. D’altronde nelle società liberali non è importante stabilire chi debba governare, ma come controllare chi comanda. Qualunque sia l’opinione che si coltivi – legittimamente – sull’esecutivo presieduto da Giorgia Meloni, occorre guardare ai fatti, che sono opinioni testarde e come tali difficilmente controvertibili. La giovane premier, finora, può contare su alcuni successi significativi. A cominciare dall’economia che registra un significativo calo della disoccupazione ed un aumento del Pil ben sopra la media delle altre nazioni europee. Vanta inoltre un buon rapporto con l’establishment internazionale, la messa in cantiere delle opere del Pnrr, l’aver portato la tragedia dei migranti ad essere ritenuto un affare comune a tutti i paesi aderenti alla Ue, ossia l’aver fatto comprendere che la porta di approdo italiana deve diventare un “ingresso” europeo. Non poco, se aggiungiamo un’intesa forte con i paesi frontalieri, luoghi di partenza delle carrette del mare. Ed ancora: una posizione chiara e duratura sulla questione ucraina e la fine di quel grande obolo clientelare che è stato il reddito di cittadinanza. Ora pare sia giunta l’ora anche della riforma della giustizia, timidamente affrontata dal precedente governo con la guardasigilli Marta Cartabia. A proporla un uomo, un magistrato, d’esperienza e di equilibrio come il ministro Carlo Nordio. Ebbene non sono mancate le veementi proteste dell’Ordine giudiziario, quest’ultimo trasformatosi, nel corso degli anni, in un vero e proprio potere insindacabile ed irresponsabile: una sorta di setta protetta dalle guarentigie costituzionali, le stesse di cui si sono privati i parlamentari per un malinteso senso di colpa, sotto l’ondata di arresti inferti da Tangentopoli. Una forzatura che ha messo la politica in posizione subalterna rispetto alla magistratura ed all’arbitrio (politicizzato) della medesima. Per anni i governi precedenti si sono sempre piegati ed adeguati a questa logica di sudditanza, sia per calcolo politico, sia per coltivare la segreta speranza di potersi sbarazzare degli avversari per via giudiziaria. Peraltro, in passato, non c’è stato tentativo di modifica dello stato dell’arte in materia di giustizia, che non abbia ricevuto dalle toghe contestazioni ed accuse. Sono ancora impresse le manifestazioni spettacolari dei giudici e dei pubblici ministeri all’inizio dell’anno giudiziario, con costoro che protestavano sbandierando la carta costituzionale ed i codici, paventando il rischio che qualcuno volesse mettergli il bavaglio! Mai nessuna preoccupazione per il rito ambrosiano della carcerazione preventiva per estorcere confessioni. E ancora: silenzio sui giudici collusi con parti e partiti politici (leggi caso Palamara), con la corrente militante di Magistratura democratica e la caccia ai corrotti, ritenuti tali per il consenso ricevuto dagli elettori e l’ideologia contrastante! Per non parlare del reato di concorso esterno, mai tipizzato e delimitato, utilizzato spesso e volentieri in combinato con la legge sui pentiti affidati nelle mani dei pm e delle munifiche elargizioni, di questi ultimi, a fior fiore di camorristi e mafiosi. Silenzio di tomba anche sulle carceri italiane che ospitano oltre ventimila persone non ancora giudicate. E che dire dei processi che durano una vita, della vita degli indagati distrutta ed infangata, dei processi penali che si prescrivono, in misura del 60%, prima ancora che siano incardinati, perché l’azione giudiziaria, priva di riscontri, era cominciata senza alcun serio presupposto? E vogliamo parlare dell’obbligatorietà dell’azione penale che lascia agli inquirenti la decisione di quale processo portare avanti e quale, invece, lasciare al destino della decorrenza dei termini, indipendentemente dalle previsioni sul grado di pericolosità sociale dei reati? Eppoi: il costo delle intercettazioni a strascico, la violazione dei diritti dei parlamentari e di migliaia di ignari cittadini! Per anni le assemblee parlamentari, codine e tremebonde, con il loro fisiologico carico di trafficanti, usuale in tutte le categorie ed in tutte le parti del mondo, hanno vilmente temuto le ritorsioni di chi aveva il potere di annichilirle giudiziariamente. Finalmente all’orizzonte si profila una riforma della giustizia che, si spera, ristabilisca la separazione dei poteri statali di cui scrisse Montesquieu nel libro “De l’esprit des lois” ove il filosofo francese auspicò un’organizzazione dello Stato che guardasse alla democrazia ed all’autonomia dei poteri che la connotano. Nel mentre questo si profila all’orizzonte, prende corpo la nuova versione del Grillismo, con l’intervento del comico genovese, che, coperto dall’ilarità, predica una “rivoluzione civile” fatta col passamontagna, come già accaduto nelle trame eversive. Insomma, il messaggio è chiaro: ritorneremo alle barricate con le truppe di ascari pentastellati reclutate tra i più ignoranti sui social, armate dal moralismo becero dei Travaglio e dei martiri come Lucia Annunziata e Fabio Fazio. Nelle retrovie, a dare man forte, la Schlein e la Cgil con l’appoggio delle toghe. In buona sostanza: il blocco della restaurazione e della conservazione non è ancora andato in pensione. E’ giunta l’ora di scegliere tra Grillo e Montesquieu, tra la civiltà giuridica e l’avventura.