CASERTA – Disporre l’abbattimento di bufale e di bovini presenti in un’azienda agricola (infischiandosene che tra loro ci siano anche animali sani) dove, qualche mese prima, erano stati accertati casi di positività alla brucellosi o alla tubercolosi, è illegittimo: a metterlo nero su bianco sono state due sentenze della terza sezione del Consiglio di Stato. Verdetti innescati da ricorrenti diversi, ma le dinamiche che hanno portato i due allevatori della provincia di Caserta a rivolgersi ai giudici, per evitare l’ennesima mattanza, sono sostanzialmente le stesse. E quanto stabilito, ora, dai togati potrà essere fondamentale nella lotta che il comparto sta portando avanti, da mesi, contro il piano di eradicazione varato dal governatore Vincenzo De Luca.
La vicenda
Procediamo con ordine. Dai controlli eseguiti, nel 2021, dagli ispettori dell’Asl negli allevamenti dei due imprenditori agricoli (i ricorrenti) erano emersi diversi casi di infezione. Preso atto della positività di alcuni animali a tubercolosi e brucellosi, i capi ‘malati’ erano stati mandati al macello. Fin qui tutto regolare. L’Asl, però, era andata oltre disponendo, dopo alcune settimane, il cosiddetto ‘stamping out’: entro quindici giorni dall’avviso che aveva notificato, gli imprenditori agricoli avrebbero dovuto eliminare i capi restanti nelle loro aziende (complessivamente 81 capi). Abbattimento totale. Su quale base? In applicazione dell’ordinanza ministeriale del 28 maggio 2015 e della delibera della giunta regionale dell’8 marzo 2022 (il piano di eradicazione contestato dagli allevatori), con annessi pareri favorevoli dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno e della Uod Prevenzione e sanità animale veterinaria della Campania.
I ricorsi
I titolari delle aziende agricole si rivolsero al Tar di Napoli, chiedendo ed ottenendo la sospensione cautelare del provvedimento. Venne decretato lo stop all’abbattimento. Ma quando i togati amministrativi sono entrati nel merito del ricorso, hanno deciso di dare ragione all’Asl (e quindi alla Regione Campania). Contro questa scelta, gli imprenditori, attraverso l’avvocato Mario Luciano, si sono rivolti al Consiglio di Stato che ha ribaltato la decisione del Tar. L’avvocato ha sostenuto che l’Asl avrebbe dovuto avviare “un’apposita indagine epidemiologica al fine di confermare o escludere la presenza della malattia, disponendo esami clinici su un campione rappresentativo di animali”. Soprattutto ha evidenziato un dato importante: dopo gli invii al macello delle bufale infette, dalle analisi successive era emerso che nelle due aziende la malattia “era in fase calante”.
Il legale
Circostanza che ha fatto ritenere, dice il legale, la misura dell’abbattimento totale “spropositata e priva di giustificazione”. “Sussisterebbe inoltre – ha proseguito l’avvocato – la violazione del principio di precauzione e di proporzionalità, in quanto sarebbe mancata una fase istruttoria con la partecipazione dei soggetti interessati ed il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto conto della bassa incidenza della malattia accertata nell’ultimo controllo, tenuto anche conto che gli animali non riportano sintomi clinici ricollegabili alla malattia come confermerebbe la relazione del veterinario; sarebbero, inoltre, inattendibili gli esami sierologici che si basano sulla ricerca di anticorpi contro le brucelle presenti nel sangue degli animali, dovendosi preferire gli esami batteriologici che consentono di isolare l’agente patogeno”.
L’Asl aveva giustificato lo stamping out sostenendo che “l’abbattimento dei soli capi risultati positivi alla brucellosi e tubercolosi sarebbe un provvedimento inefficace alla propagazione delle malattie in quanto nello stabilimento non sussistono le condizioni necessarie a ridurre al minimo il rischio di propagazione dell’infezione e la sua trasmissione all’uomo ed agli animali, a salvaguardia e tutela dell’ambiente, è necessario adottare le misure sanitarie urgenti, come di seguito elencate nel dispositivo”.
Il Consiglio di Stato
Ma per il Consiglio di Stato si tratta di un’esternazione “poco più che assertiva”. Per quale ragione? Non sono stati “esposti motivi per i quali si è ritenuto che la misura fosse strettamente necessaria e che il vantaggio per l’interesse pubblico non fosse sproporzionato anzitutto al sacrificio della vita dell’animale – secondo la rinnovata visione del bene giuridico espressa dalla modifica dell’articolo 9 della Costituzione – e, in secondo luogo, a quello imposto al privato. In altri termini, l’adottata misura della macellazione di tutti i capi dell’allevamento gestito dalla ricorrente, per non essere sproporzionata, avrebbe necessitato di una approfondita motivazione in ordine alla prognosi sulla non recessività e sul rischio di diffusione della malattia, viceversa mancante”. Per il Consiglio di Stato è risultato importante il fatto che i controlli effettuati ad ottobre, novembre e dicembre 2022, dopo gli iniziali abbattimenti (del 2021) che hanno dato esito negativo (cioè hanno accertato che l’infezione si era fermata), “corroborano il giudizio di insufficiente motivazione dell’ordine di abbattimento in relazione ai criteri normativamente rilevanti”. Sintetizzando, dai giudici è arrivato un netto stop all’abbattimento indiscriminato di bufale e bovini.
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