NAPOLI – Il lieto fine c’è stato, ma quella di cui è stato protagonista Stefano Pepe (nella foto), imprenditore nel settore delle pompe funebri, è stata tutt’altro che una favola. A causa della separazione (consensuale) dalla moglie e soprattutto di un’assistente sociale troppo zelante, all’uomo originario di Pianura, è stata negata la podestà genitoriale (poi riacquisita) e la possibilità di avere contatti con i due figli minorenni per due anni e mezzo. Tutta colpa di una denuncia presentata dall’ex moglie, che cinque anni fa lo accusò ingiustamente di maltrattamenti in famiglia. Il 14 dicembre scorso dopo un lungo iter giudiziario, la piena assoluzione per non aver commesso il fatto. “Il reato stava per entrare in prescrizione – racconta Stefano Pepe – ma mi sono battuto affinché fosse un giudice a decretare la mia innocenza. E così è stato. Accogliendo la richiesta del pm, che ha potuto constatare come nei miei confronti sia stato dichiarato il falso, il magistrato che ha presieduto il processo in primo grado mi ha concesso la piena assoluzione”. L’incredibile vicenda di cui è stata protagonista suo malgrado la famiglia Pepe, ebbe inizio nel 2017, quando uno dei tre figli dell’imprenditore, per scherzo, spedì sul cellulare di un’amica una ‘Blue Whale’, la balena blu che simboleggiava la richiesta di sfida sui social. Si trattava di uno dei primi giochi di resistenza che circolano in rete. Soni così pericolosi, che chi partecipa, rischia di essere soggiogato al punto da tentare il suicidio. “Conosco mio figlio – afferma Pepe – lo fece per attirare l’attenzione. Non aveva finalità tragiche. I genitori dell’amica avrebbero potuto anche chiedere spiegazioni, ma vollero direttamente presentare denuncia alle forze dell’ordine. E qui che entrò in gioco l’assistente sociale che ha provato a rovinarmi la vita senza riuscirci. La professionista si mise in contatto con la mia ex moglie e dopo qualche settimana fui rintracciato dagli agenti di polizia, che mi notificarono la prima denuncia che la mia ex moglie presentò nei miei confronti. In totale ne sono state tre. Nel corso di questi anni sono stato accusato di maltrattamenti, stalking e violenza sessuale. Ovviamente nulla di tutto ciò, era vero. Sono andato a processo soltanto per maltrattamenti e sono stato assolto con formula piena”. Nel frattempo, però, il titolare dell’agenzia funebre Principe ha dovuto affrontare un calvario. “Dodici volanti si presentarono a scuola per prelevare i miei figli. Un tale dispiegamento di forze dell’ordine non si vede nemmeno per catturare un malavitoso. Presero i mie ragazzi e li portarono nel centro anti-violenza, dove alloggiava la madre su richiesta dell’assistente sociale. Nel frattempo, per poter avere dei contatti con loro, dovevo seguire un percorso con professionisti dell’Asl autorizzato dalla stessa assistente sociale che curò il caso della mia moglie. Ma alle richieste di appuntamento, ricevevo sempre dinieghi. Nel frattempo fu negato a me e a mio figlio maggiorenne la facoltà di poter avere contatti con gli altri due ragazzi minorenni. A quel punto mi decisi di aggirare il problema, seguendo per conto mio un percorso con medici Asl in un’altra zona di Napoli. L’assistente sociale di arrabbiò, parecchio. Ma i giudici in tribunale non potettero fare altro che darmi ragione, visto che i certificati che ottenni, vennero rilasciati da strutture pubbliche”. Nel frattempo “l’assistente sociale avvicinò anche mio figlio maggiorenne, spingendolo a denunciarmi, ma visto che io non ho mai usato violenza, fece un buco nell’acqua. Peccato che mio figlio abbia pagato la sua onestà con il fatto di non aver potuto avere contatti con i fratelli per due anni e mezzo, proprio come me”. Ritenendosi vittima di un’ingiustizia e soprattutto della persecuzione da parte della professionista incaricata dai Servizi Sociali, l’imprenditore ingaggiò una battaglia anche con il Comune di Napoli. Da Palazzo San Giacomo sempre la stessa risposta: “Occhio ad alzare polveroni. Un’assistente sociale non può prendere decisioni in piena autonomia. C’è un sistema da rispettare”. Con ogni probabilità, anzi quasi certamente, c’è stata una falla nella rete messa in piedi dal Comune di Napoli, perché l’assistente sociale in questione accompagnò l’ex moglie di Pepe in commissariato in tutte e tre le denunce. La presunta vittima, però, in aula, incalzata sia dai giudici sia dagli avvocati di Pepe, non ha mai saputo descrivere gli abusi subiti, per il semplice motivo che non sono mai avvenuti. A questo punto nasce il sospetto che la donna sia stata indotta ad accusare l’ex marito. La domanda da un milione di euro è la seguente: “Perché è successo tutto questo?”. Pepe non sa darsi una risposta definitiva. Però, la sta cercando. “Mi sono battuto per riavere i miei figli con me e ho vinto. Ho lottato per riabilitare il mio nome, anche perché la mia ex moglie, sempre su suggerimento dell’assistente sociale, andò in tv a raccontare quello che è successo, e ho vinto. Adesso voglio che l’assistente sociale, che è già stata costretta a cambiare lavoro, paghi per quello che ha fatto”. E qui torniamo alla domanda precedente: “Perché l’ha fatto?”. “Non posso dirlo con certezza – risponde Stefano Pepe – ma, non posso nemmeno escludere che alla base di tutto ci siano stati motivi economici. Questa donna ha voluto che la mia ex moglie e i miei figli stessero quanto più tempo è possibile nel centro anti-violenza. Infatti sono stati lì per due anni e mezzo. Mi pare che sia un record. Mi sono documentato e ho scoperto che strutture del genere ricevono 400 euro al giorno dallo Stato per prendersi cura delle madri vittime di maltrattamenti e 200 per ogni figlio. Forse l’assistente sociale avrà provato a ottenere benefici nel mettere in piedi questo castello di accuse, che è miseramente crollato”. La battaglia di Stefano Pepe non è finita, anche perché ci sono altri uomini che si trovano nelle sue stesse condizioni. Però, non hanno a disposizione le possibilità economiche del titolare dell’agenzia funebre ‘Principe’ né tempo all’iter giudiziario da seguire per ottenere giustizia. “In cinque anni ho sostenuto circa 100mila euro in spese legali – dichiara l’imprenditore – e soprattutto ho dovuto affidare la gestione dell’agenzia funebre ai miei collaboratori, perché ero impegnato in altro. Non tutti hanno queste possibilità. Ecco perché sto lottando anche per chi come me si è trovato investito da una vicenda del genere. Sui social ho fondato il gruppo ‘Contro l’abuso di potere dei servizi sociali e tribunali minorili’. Conta 1.210 iscritti. Non possiamo lasciarli soli”.
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