Pizzo in nome del clan dei Casalesi, si divide il processo

Si sdoppia il processo nato dall’inchiesta della Dda di Napoli sul giro di presunte estorsioni realizzate in nome del clan dei Casalesi tra il 2017 e il 2018. Nel corso della prima udienza celebrata dinanzi al collegio A della seconda sezione del Tribunale di Napoli Nord, i legali degli imputati hanno sollevato una questione riguardante la competenza territoriale, ritenendo che il dibattimento per la maggior parte degli imputati dovesse essere spostato a S. Maria Capua Vetere. I giudici normanni hanno accolto la richiesta: proseguiranno il processo ad Aversa soltanto Antonio Barbato, 48 anni, di Cesa; Carmine Lucca, 54 anni, di San Marcellino; e Antonio Palumbo, 36 anni, di Cancello Arnone. Passano al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, invece, Camillo Belforte, 29 anni, figlio di Benito (fratello dei boss Salvatore e Domenico, non indagato); Gennaro Celentano, 40 anni, di Sant’Antimo; Umberto Loreto, 54 anni, residente ad Afragola Antonio Chiacchio, 53 anni, di Teverola; Nunzio Chiariello, 78 anni, di Sant’Antimo; Daniele Coronella, 51 anni, di Casal di Principe; Mario Curtiello, 41 anni, di Sant’Antimo; Carlo Del Vecchio, 67 anni, di Falciano del Massico; Antonio De Luca, 47 anni, di San Cipriano d’Aversa; Mario De Luca, 55 anni, di San Cipriano d’Aversa, alias Forestieri; Mario Raffaele De Luca, 43 anni, di Casal di Principe; Nicola Di Bona, 55 anni, di Castelvolturno; Sergio Iannicelli, 32 anni, di Sant’Antimo; Alessandro Pavone, 37 anni, di Casal di Principe; Achille Piccolo, 49 anni, di Marcianise; Giacomo Terracciano, 63 anni, di Afragola.
L’inchiesta ha documentato 13 episodi estorsivi ai danni di negozianti e imprenditori, con attività a Teverola, Castelvolturno, Marcianise e San Cipriano d’Aversa, verificatisi tra il 2017 e il 2018. Il lavoro degli investigatori ha anche rivelato come, in un caso, per recuperare indebitamente una caparra che un imprenditore aveva versato in relazione all’acquisto di un capannone industriale a Marcianise, avrebbero agito insieme personaggi ritenuti vicini al clan dei Casalesi e al gruppo Belforte.
L’imprenditore che voleva riavere il denaro dato (mezzo milione di euro) sarebbe, secondo gli inquirenti, Terracciano, amministratore della Teca. Quest’ultimo si sarebbe rivolto, tramite Chiariello, a Improda e a Mario De Luca. E i due, dice la Dda, si misero effettivamente alla ricerca dell’uomo che aveva preso la caparra, collaborando per raggiungere l’obiettivo con Camillo Belforte e Daniele Coronella. Stando alla tesi dell’Antimafia, De Luca e Belforte riuscirono a portare la vittima al cospetto del boss Achille Piccolo, esponente del clan dei Quaqquaroni, con base a Marcianise, e quest’ultimo gli avrebbe detto che era meglio “pagare il denaro che doveva, perché in caso contrario si sarebbero impossessati del capannone”. Nel collegio difensivo dei 19 imputati (da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile) ci sono gli avvocati Giuseppe D’Alise, Nicola Musone, Fabio Russo, Giovanni Pizzo, Mirella Baldascino, Agostino D’Alterio, Luciano Fabozzi, Angelo Raucci, Agostino Di Santo, Ferdinando Letizia, Bernardo Diana, Alessandro Diana, Viviana D’Arbitrio, Raffaele De Rosa e Giovanni Cantelli.

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