L’intervista. D’Agostino: cambiamenti climatici e incendi tra le cause delle frane Servono nuovi presidi territoriali

CASERTA (gita) – Il cambiamento climatico, gli incendi, la poca attenzione al verde, le comunicazioni non tempestive: è questo il mix di criticità che rischia di causare eventi idrogeologici che hanno i tratti della catastrofe. Ed è proprio questo mix che ha contribuito a determinare la tragedia nella Valle di Suessola: una frana che, nelle scorse ore, ha creato enormi problemi a San Felice a Cancello, con il triste bilancio di due cittadini dispersi.

“Adesso ci sono fenomeni meteorologici che prima ritenevamo eccezionali e che adesso invece si verificano con sorprendente normalità. Il quantitativo di pioggia che può cadere sul territorio in poco tempo è enorme e questo innesca situazioni del tutto nuove,” ha dichiarato Gennaro D’Agostino (nella foto in basso), vicepresidente dell’ordine dei geologi della Campania. Queste parole sottolineano come la scena climatica che adesso si presenta in Italia incide negativamente in modo netto sui rischi idrogeologici.
“Soprattutto – ha aggiunto D’Agostino – incide notevolmente su territori caratterizzati dalla presenza di terreni con depositi piroclastici. Questi terreni non garantiscono condizioni di stabilità e, in caso di piogge intense, l’erosione aumenta, incrementando la possibilità di frane.”
Come è accaduto nella Valle di Suessola…

È un chiaro esempio di accelerazione di fenomeni legati ai cambiamenti climatici. Cade tanta pioggia in pochissimo tempo. Le bombe d’acqua che una volta era considerate come eventi eccezionali adesso sono molto frequenti. In questa regione, abbiamo situazioni geologiche particolari, con la presenza di coltri piroclastiche su versanti acclivi che non garantiscono condizioni di stabilità. Quando si verificano piogge così intense, i terreni si saturano ed erodono, portando a frane.

C’è stato un evento- simbolo nella percezione del pericolo frane in Campania?

Lo spartiacque dal punto di vista mediatico sul pericolo frane, a mio avviso, è rappresentato dall’evento di Sarno del 1998. Coinvolse pure l’area di San Felice a Cancello, che è tornata sotto i riflettori nelle scorse ore. Si tratta di un’area classificata a rischio R4, che è il massimo livello di rischio.

Nel dibattito sulla nuova frana si è subito fatto largo il tema dell’abusivismo edilizio. Qual è la sua opinione in merito?

Credo sia errato concentrarsi su questo aspetto e parlare di abusivismo.

Per quale ragione?

Le aree abitate in queste zone sono insediamenti storici, costruiti molto tempo fa, quando non si riteneva che queste aree fossero pericolose. Queste strutture sono state edificate prima che si verificassero queste tragedie, e non si può semplicemente intervenire su di loro o affermare che debbano essere abbandonate.

Quali misure ritiene necessarie per prevenire disastri futuri?

L’unica cosa da poter fare è prevedere e prevenire. Per quanto riguarda la previsione, è un aspetto da garantire assolutamente, ma non è semplice. Lo dico senza polemica, ma i nuclei locali di Protezione civile devono essere più smart. Logicamente, non potranno mai avere la capacità previsionale di un centro come quello dell’Aeronautica militare o del Centro regionale, ma una volta ricevuto l’allarme devono diffonderlo con forza.

Recentemente si è parlato anche dell’impatto degli incendi sui rischi di frane. Cosa ci può dire al riguardo?

C’è stato un incendio proprio nell’area che ha subito la frana, ed è un danno enorme. La vegetazione ha una grande capacità di trattenere i terreni piroclastici. Quando viene bruciata, scompaiono alberi e sottobosco, si forma cenere, e tutto ciò rende, come è successo a San Felice a Cancello, molto più probabili le frane. Ricollegandomi al concetto di prevenzione, è necessario attivarsi anche per proteggere le montagne dagli incendi. Esistono leggi nazionali che impongono che le aree vittime di roghi non possano essere utilizzate per altri scopi, ma che debbano essere riforestate proprio per evitare che vengano appiccati incendi con il fine di sfruttare diversamente quei terreni.

L’ordine dei geologi sta lavorando su qualche proposta specifica per migliorare la sicurezza in queste aree?

Abbiamo un canale di comunicazione attivo e costante con la Regione, e stiamo proponendo di istituire cabine di monitoraggio territoriali in queste aree a rischio. Vogliamo che vengano attivati dei presidi geologici, che sarebbero fondamentali in termini di previsione dei disastri. Al momento c’è il centro della Protezione civile regionale, ma riteniamo che, vista l’evoluzione climatica, sia giusto attivarli come fu fatto dopo Sarno.

Quali altre misure strutturali potrebbero essere adottate per ridurre il rischio?

È importante anche adeguare le infrastrutture fognarie e creare vasche di contenimento per i detriti che provengono dalle montagne. Fare opere del genere in ogni area a rischio R4 è sicuramente costoso, si tratta di un’opera impattante dal punto di vista finanziario, ma per la sicurezza è sacrosanto procedere in questa direzione.

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