Posto ergo sum

La fruizione dei social media è profondamente cambiata nel corso degli anni.

Sono lontani i tempi nei quali, nel mondo della musica e dei musicisti, arrivò MySpace. Fu una meraviglia, una specie di miracolo: all’improvviso era possibile condividere musica, pensieri e parole in maniera istantanea. Erano bacheche educate, nelle quali ci si salutava con garbo; a nessuno sarebbe venuto in mente l’idea di essere scortese, di inveire con parole o emoticon contro qualcuno.

Ma durò poco. Dal suo lancio avvenuto nel 2003, al suo boom del 2005, nel quale la piattaforma fu acquistata per più di mezzo miliardo di dollari, raggiungendo il picco di 30 milioni di utenti mensili, alla sua svalutazione nel 2011, anno nel quale MySpace fu venduto per “soli” 35 milioni di dollari, il mondo è letteralmente cambiato sotto i nostri occhi, scomparendo dentro i nostri device.

Un mostro ci ha inghiottiti tutti: il suo nome è Facebook.

Fondato nel 2004 da Mark Zuckerberg e i suoi amici di università, il social, inizialmente pensato per gli studenti di Harvard, si è rapidamente esteso ad altre università e poi al mondo intero, sino a diventare oggi uno dei social network più utilizzati al mondo, con miliardi di utenti attivi mensilmente.

Dentro il suo mondo c’è di tutto, succede di tutto. La pubblicazione compulsiva ha coinvolto intere generazioni; la linea di demarcazione tra cosa pubblica e cosa privata si è polverizzata, sino a sparire completamente. Nelle sue bacheche, in tutto il mondo, sono confluite le intere vite delle persone: fatti intimi, privatissimi, foto ammiccanti, passeggiate al bosco, messaggi criptati, minacce, annunci, di tutto, senza pietà, senza soluzione di continuità.

Una babele impazzita, miliardi di voci parlanti e urlanti, un “Io” digitale copiato e incollato, svuotato di umanità.

Volti e vite ritoccate, tutto e il contrario di tutto, un’orgia di contenuti che scorrono davanti ai nostri occhi: storie di cani e gatti, foto sexy, comitive alcoliche, vecchi cantanti, casalinghe disperate, presentazioni culturali, filosofi del pianerottolo, scrittori della domenica, Charlie Parker, Baglioni da giovane, Napoli di una volta, Milano con la nebbia, il polpo verace, il politico corrotto, Gandhi, la moglie di Gandhi, gli assoli di Eric Clapton, Mario Merola sul motoscafo, i Beatles con Yoko Ono e senza Yoko Ono, Pino Daniele, Pino Daniele da giovane, Pino Daniele che suonava il basso, e l’immancabile nostalgico che posta da quasi venti anni Maradona che palleggia mentre in sottofondo c’è “Life Is Life”, un brano di un gruppo austriaco, gli Opus, divenuto famoso grazie al Pibe de Oro.

Intanto le piattaforme si sono moltiplicate:

ci sono quelle dei giovani, quelle dei vecchi, quelle degli adolescenti, quelle sulle quali non c’è censura, quelle che: “mi ha detto un amico, ci puoi trovare di tutto, e quando dico di tutto intendo di tutto”.

Attualmente, ci sono oltre 5 miliardi di profili attivi sui social media a livello globale, che rappresentano circa il 62% della popolazione mondiale.

Questo numero è in continua crescita, con una media di 8,4 nuovi utenti di social media al secondo. E noi ne siamo coinvolti, volenti o nolenti, costretti a interagire anche solo per dire io non partecipo. In questo scenario, la fruizione dei contenuti è svilita quasi del tutto: le notizie e le storie devono correre, pardon, scorrere, veloci. Sugli smartphone, non c’è tempo, non abbiamo tempo. Viviamo vite compresse, fatte di vuoti digitali incolmabili.

Postare un contenuto oggi è completamente diverso rispetto a venti anni fa, i termini di ingaggio sono completamente cambiati, ma di questo ne parliamo prossimamente.

immagini e elaborazione grafica a cura di Silvana Orsi

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