Spari contro casa Sandokan. Tra i membri del commando chi aveva schiaffeggiato il figlio del boss Oreste Reccia

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Emanuele Libero Schiavone e Francesco Reccia

CASAL DI PRINCIPE – Che, tornato in libertà, ha subito riallacciato i rapporti con gli altri esponenti della sua cosca. Che, rimesso piede nell’Agro Aversano, si è rapidamente catapultato nel commerciare droga in piazza Mercato. Che, messosi alle spalle gli oltre 12 anni di carcere affrontati, è immediatamente arrivato allo scontro con chi, durante la sua assenza, aveva quasi monopolizzato la vendita di narcotici in città senza riconoscergli una quota: parliamo di Emanuele Libero Schiavone e questi elencati sono i punti fermi dell’indagine, coordinata dalla Dda di Napoli, che lo scorso giugno lo ha rispedito in cella.

L’attività investigativa su cosa il rampollo di casa Sandokan aveva fatto da aprile al giorno della sua cattura, però, non è affatto finita. Ci sono altri punti da chiarire. E tra questi, quello di identificare chi, la sera del sette giugno, crivellò di colpi il portone della sua abitazione paterna di via Bologna. Di certo quel raid (preceduto da una stesa in piazza Mercato) va inquadrato nello scontro che il figlio del capoclan Francesco Sandokan Schiavone aveva attivato con i suoi competitor nel settore dei narcotici. Ma non è, almeno ufficialmente, ancora emerso chi ha fatto parte del commando e chi diede l’ordine di agire.

A fornire indizi sull’identità di uno dei soggetti presenti nell’auto da cui fu fatto fuoco è stato il sanciprianese Francesco Reccia, figlio di Oreste Recchie e lepre, storico esponente del clan dei Casalesi. Il giovane era diventato, dice la Procura, uno dei più stretti collaboratori di Sandokan jr, coadiuvandolo nella gestione dello spaccio in piazza Mercato. Un legame cementificato dal fatto che il genitore del sanciprianese aveva condiviso per molto tempo la cella proprio con Emanuele Libero Schiavone.

Quando ci fu la raffica di mitra contro il portone di via Bologna, Reccia si trovava in casa con Sandokan jr. I carabinieri, grazie a delle cimici, ascoltarono i commenti a cui i due si lasciarono andare dopo gli spari e Reccia ipotizzò chi poteva essere stato a esplodere i colpi: “Questo sai chi è? Quello zingaro che mi diede lo schiaffo in faccia”. Insomma, a detta del sanciprianese, chi lo aveva aggredito poco prima aveva poi partecipato all’intimidazione con i proiettili.

Emanuele Libero Schiavone e il figlio di Recchie ‘e lepre al momento sono in carcere: in primo grado sono stati condannati per detenzione di armi (prese per reagire proprio all’affronto che avevano subito) e spaccio di narcotici. Ad assisterli, gli avvocati Paolo Caterino, Domenico Della Gatta e Domenico Dello Iacono.

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